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Allarme meduse nel Golfo di Napoli Preoccupazione tra ricercatori e bagnanti.
La specie più urticante è la Pelagia noctiluca. Aumento dovuto al calo dei pesci che si nutrono di plancton.
NAPOLI — «Occhio alle meduse ». Da Nerano a Procida è un unico grido di dolore, tra i bagnanti, e tra i gestori dei lidi che temono di perdere incassi e clienti. C’è chi, in costume, ne raccoglie a decine, con i retini, le porta sulla spiaggia e contempla soddisfatto la loro agonia. I più si astengono dall’entrare in acqua. Qualcuno nuota come se niente fosse, confidando nel fatto che le meduse nostrane non sono particolarmente pericolose. Chi si imbatta nei loro tentacoli avverte soprattutto bruciore. La pulizia con l’acqua di mare della parte colpita — mai con quella dolce, perché si polverizzano i residui dei tentacoli attaccati alla pelle e si fa peggio — la strofinazione con la sabbia e, nei casi più gravi, un pò di ammoniaca o pomata al cortisone risolvono il problema.
Nulla al confronto di quanto potrebbe accadere nuotando nelle acque australiane, dove vive la Chironex, i tentacoli della quale sprigionano una tossina mortale: provoca l’arresto cardiaco in tre minuti. È un mondo affascinante e complesso quello delle meduse, protagoniste sgradite anche dell’estate 2009. «Sono tantissime», lamentano sotto gli ombrelloni. «Non hanno torto», dice il professore Ferdinando Boero, ordinario di zoologia e biologia marina dell’Università del Salento, uno dei massimi esperti in Italia: «Assistiamo da una decina di anni ad un aumento della loro presenza nel Mediterraneo». Non c’entra nulla il riscaldamento del mare. «Ce ne sono che vivono in acque fredde e calde», precisa. Il punto è un altro: «Le meduse hanno sempre meno competitori alimentari, animali che si nutrono, come loro, di plancton. La pesca dissennata e gli allevamenti di specie carnivore, come il tonno, hanno intaccato lo stock ittico. I fondali sono più poveri di pesci e per le meduse aumentano le opportunità di trovare plancton. Perciò cresce la popolazione».
La biologa della stazione zoologica Anton Dohrn, Flegra Bentivegna, chiama in causa anche la diminuzione degli animali che di meduse si nutrono, tartaruga liuto in primis: «Può divorarne quintali al giorno». L’incubo dei bagnanti campani — ma fa certo meno danni dei residui chimici e dei liquami — quest’anno ha un grazioso colorito violaceo e dimensioni ridotte: tra i 5 ed i 7 centimetri. Si chiama Velella velella (la barchetta di San Pietro) e, garantisce il professore Boero, è innocua. Molto comune nel golfo di Napoli anche Cotyloriza tuberculata: 30 centimetri di diametro, ombrello giallo o verdastro a forma di disco, non è urticante. Rhizostoma pulmo, il Polmone di mare, supera i 50 centimetri di diametro. La colorazione è bianca e azzurra. La superficie esterna dell’ombrella non è urticante. Possono esserlo i tentacoli, ma molto dipende dalla sensibilità individuale. L’incontro peggiore che possa capitare a chi nuoti in Campania è con la Pelagia noctiluca, fosforescente di notte. Dieci centimetri di diametro, il colore è rosa- marroncino, i tentacoli esili e lunghissimi.
Tra le specie comuni nei nostri mari è certo la più urticante. Nulla di drammatico, però. I bagnanti temono questi celenterati, insomma, ben al di là del pericolo reale. Pochi ne conoscono il ciclo vitale. «In una prima fase sono polipi, sul fondo, simili a coralli», dice Boero. «Poi maturano e si staccano, diventando meduse. Si riproducono emettendo nell’acqua lo sperma che feconda le uova. Le larve si insediano sul fondo e ricomincia il ciclo». Lamenta: «In Italia non c’è ad oggi un solo progetto di ricerca sulle meduse che sia finanziato». Lui ha lanciato un censimento. Chiede a chi va per mare di segnalare, via mail (boero@unisalento.it), avvistamenti di banchi.
Fabrizio Geremicca