Dalla parte della rivolta dei braccianti neri senza se e senza ma
di Moreno Pasquinelli
Incazzati neri…
«Momenti di tensione a Rosarno (Rc) nella serata del 7 gennaio. Scene di guerriglia urbana da parte di alcune centinaia di lavoratori extracomunitari impegnati in agricoltura e accampati in condizioni disumane in una vecchia fabbrica in disuso e in un’altra struttura abbandonata. A fare scoppiare la protesta il ferimento da parte di persone non identificate di alcuni cittadini extracomunitari con un’arma ad aria compressa». (Il Quotidiano della Calabria)
… contro-incazzati bianchi
«Oggi 8 gennaio gli abitanti di Rosarno hanno occupato il municipio e bloccato la statale 18 in segno di protesta contro gli immigrati che da ieri si sono resi autori di danneggiamenti e atti di vandalismo. Intanto questa mattina il Ministro Maroni ha convocato una riunione al Viminale al termine della quale è stato deciso di costituire oggi stesso presso la Prefettura una task force». (Il Quotidiano della Calabria)
La “guerra tra poveri”, lungamente evocata, è quindi ufficialmente cominciata.
Tutto è partito dall’ennesima aggressione di alcuni teppisti bianchi contro alcuni indifesi proletari neri. Tutto è partito in una cittadina calabrese, ovvero in una regione che è la più povera e devastata del paese. Una regione dove capitalismo, politica e cosiddetta criminalità organizzata cono intrecciati in maniera indistricabile. Un’area dove l’agricoltura sopravvive grazie ad un sistema neo-schiavistico di sfruttamento. Un paese, Rosarno, dove mille e cinquecento immigrati di colore, oltre ad accettare paghe orarie da fame, vengono reclusi come bestie in tuguri fetidi.
Smettiamola di fare gli scongiuri contro l’intolleranza e il fascismo.
Smettiamola per favore di parlare di razzismo!
E smettiamola di usare il paravento della ‘ndrangheta.
Qui siamo in presenza di un fenomeno terribile quanto completamente nuovo, che obbliga a riadeguare analisi sociale, paradigmi interpretativi, nonché il nostro stesso vocabolario sociale e politico.
I giovani (bianchi) che a intermittenza aggredivano i braccianti (neri), quelli che strutturati per bande, sin da ieri notte hanno tentato di rispondere alla legittima rivolta (gli è stato impedito dalla polizia), gli stessi che da stamattina hanno ripreso il controllo della cittadina, bloccando la statale e occupando il comune, non sono degli “sgherri fascisti”, non sono aguzzini al servizio del capitale e degli agrari locali, né scagnozzi manovrati dalla questura. Né sono giannizzeri aizzati dalla ‘ndrangheta, che ha invece interesse, proprio come la morigerata borghesia padana, alla pace sociale e al buon rendimento dei suoi soldi “sporchi” riciclati nell’agricoltura (non confondete la ‘ndrangheta con quell’accozzaglia che va sotto il nome di “camorra”, o i fatti in corso a Rosarno con l’eccidio di Castel Volturno)
Chi vuole consolarsi con queste categorie faccia pure, ma non tirerà un ragno fuori dal buco. La stessa accusa di razzismo è ormai niente di più che una floscia convenzione semantica. Qui non siamo più in presenza del classico clichè per cui dei bianchi “per bene”, più o meno in alto sulla scala sociale, guardano dall’alto verso il basso l’immigrato e ne chiedono la ghettizzazione. Qui l’odio xenofobo per il colore della pelle si accoppia col disprezzo più viscerale verso i proletari immigrati, ovvero i deportati dall’imperialismo. Un’odio raddoppiato, esplosivo, carico di violenza. Qui si esprime la rabbia dei bianchi morti di fame, la barbarie purulenta e morbosa dei parvenu falliti, di una generazione che sognava di essere fuoriuscita dal proletariato e che si ritrova invece emarginata, spappolata, senza futuro.
Ma questo alibi non è sufficiente ad assolvere la marmaglia bianca. Prendersela con chi, oltre che più povero, vive in condizioni spaventose e, lontano dai suoi affetti e dalla sua terra natia, si guadagna il pane col sudore della fronte, merita non solo il più deciso diprezzo, merita un sacco di legnate. Poiché le legnate, contrariamente a quanto pensano certi pacifisti, hanno e come! un indiscutibile valore pedagogico. Nessuna rivoluzione in questo paese sarà possibile senza domare e contrastare le pulsioni di morte, senza ricordare ai proletari bianchi chi essi fossero e da dove vengono, senza un risveglio delle coscienze, che non avverrà coi libri o con gli appelli, ma nel fuoco di uno scontro sociale furibondo.
E la sinistra e i cristiani decidano, se vogliono stare con gli schiavi in rivolta, o se, paolinamente, vogliono legittimare lo schiavismo, il rispetto di Cesare, e inculcare l’obbligo della sottomissione al padrone e alle sue leggi.
Vi saranno i dotti che ci suggeriranno, nello scontro tra due disperazioni, nella guerra tra poveri, di prendere una posizione equidistante, neutrale, equivicina, indifferentista.
Impossibile! Ce lo impedisce non solo la nostra coscienza, ce lo impedisce la ragione politica. Una battaglia di strada non è un alterco da bar, o un’oziosa contesa parlamentare. E’ il terreno in cui cittadini di norma assopiti, piegati da lavoro o rimbambiti dalle tv, annunciano il loro risveglio, agiscono collettivamente, costruiscono solidarietà e organizzazione, sondano la propria forza e quella dei nemici. In poche parole le battaglie di strada non hanno solo un altissimo valore simbolico, sono una vera e propria scuola, una palestra politica e di vita nella quale pochi giorni possono avere il valore di molti anni di quiete.
E’ dalla parte dei braccianti neri che occorre stare, senza se e senza ma. Essi si sono autorganizzati per dare una lezione a gente che è stata silente davanti alle aggressioni subite, a gente che li emargina e li calpesta come esseri umani, che li tratta come cani randagi. Bene hanno fatto a ribellarsi, dimostrando che se essi sono esseri umani gli altri sono solo dei maiali.
Sono dalla loro parte la giustizia, la dignità e pure il diritto. La loro rivolta ha quindi un significato enorme. Chi non ha venduto l’anima al diavolo ha capito, ha capito che se si ribellano gli ultimi, i più deboli e indifesi, allora insorgere contro l’oppressione non solo è sacrosanto ma anche possibile. Una loro sconfitta, una loro umiliazione, il loro isolamento come appestati, avrebbe un significato altrettanto nefasto: che non si riuscirebbe a scalfire il putrido blocco sociale che va da Berlusconi fino all’ultimo morto di fame che sogna di diventare come lui, passando per quello sterminato e smidollato ceto medio abbarbicato ai suoi comfort miserabili come un cane al suo osso rinsecchito.
Ci volevano uomini della Sierra Leone, del Ghana o della Nigeria a ricordarci che questa società è uno schifo, che il sistema è fradicio, che il capitalismo è criminogeno, che le istituzioni sono allo sbando e che la legge è pur sempre quella del più forte. Ci volevano loro a ricordarci che esistono la schiavitù malamente salariata e la lotta di classe.
Non possiamo che dire loro grazie! Grazie per la vostra lezione politica e morale.
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