IL CASO. La magistratura viene depotenziata: inchiesta conclusa per ottenere l’utilizzo delle intercettazioni. Indagini paralizzate
di GIUSEPPE D’AVANZO DA REPUBBLICA.IT
E’ AVVENTATO sostenere che Berlusconi sia stato costretto a ridimensionare il desiderio di vedere distrutte le intercettazioni come strumento investigativo. Il premier l’ha avuta vinta su tutta la linea, nonostante quel che sostiene un discorso pubblico infarcito di molte menzogne. La vittoria del premier, in realtà, è completa.
E’ un successo politico. E’ un trionfo legislativo. Erano a confronto due idee di riforma. La visione di Berlusconi è nota. Avverte l’autonomia della magistratura come una minaccia al suo comando che desidera unico e senza controlli. Pretende che sia burocratizzata la funzione giudiziaria e depotenziato ogni strumento di quel potere in toga, dalle intercettazioni alla direzione delle indagini. Opposto l’approccio di Gianfranco Fini. Il presidente della Camera, in una lettera molto apprezzata anche dall’opposizione, invita a risolvere le patologie del sistema giudiziario guardando non al riequilibrio dei poteri, ma all’interesse del cittadino che ha diritto a una giustizia che sia servizio giusto, imparziale, efficiente, ragionevolmente rapido. Questa, per Fini, la “stella polare” che deve guidare la riforma. Vediamo ora quel che è accaduto e accadrà.
Angelino Alfano, il segretario di Berlusconi diventato ministro di Giustizia, va in parlamento per la relazione sullo stato di giustizia. I numeri che propone danno ragione all’invito di Fini: le lentezze, le inefficienze, i ritardi dell’amministrazione della giustizia sono oltre il limite di guardia. Questa radiografia è uguale da troppo tempo. Più che lagne sono necessarie riforme. Riforme dei codici e delle procedure; innovazione nell’organizzazione; maggiori risorse umane e finanziarie. Come è abituato a fare da mesi a ogni intervista o spot, Alfano giura e garantisce che è pronto davvero a riformare i processi e le norme. L’unico passo concreto che però muove non è nella direzione invocata da Fini: è la riforma delle intercettazioni voluta da Berlusconi. Riforma che non taglierà di un solo giorno i tempi del processo, non lo renderà più equo né per le vittime del reato né per gli imputati. La priorità per la giustizia è l’ascolto telefonico, aveva detto d’altronde il Capo. Così è stato.
Gran successo politico, vince il premier, perde la ragionevolezza di Fini, e soprattutto l’interesse pubblico. Per far digerire l’arroganza del capo del governo, bisogna allora escogitare due magnifiche bubbole: le intercettazioni sono troppe (inseguono 128mila “bersagli”) e costano molto (226 milioni l’anno). Non si capisce (né il segretario-ministro lo spiega né alcuno ha voglia di chiederglielo) rispetto a quale parametro gli ascolti sono troppi. L’economia criminale rappresenta, senza contare la delinquenza politico-amministrativa, una quota non trascurabile del prodotto nazionale. Non meno del 10 per cento, secondo gli economisti del lavoce. info. Rispetto a questo troppo criminale, sono troppi 128mila “bersagli”, un numero che peraltro sovrappone in uno solo e confuso dato statistico le persone, i tabulati, i telefoni fissi e mobili, le comunicazioni informatiche, telematiche, ambientali? Non c’è spacciatore di quartiere che non abbia tre cellulari in tasca. Totò Cuffaro, l’ex-presidente della Regione siciliana (condannato per il favoreggiamento di un mafioso) utilizzava addirittura 31 cellulari diversi. Troppi per le risorse dello nostro Stato, a quanto pare, nonostante quel che – a proposito di costi – una buona indagine con intercettazioni consegna alle casse dell’Erario.
L’inchiesta romana sulle manovre finanziarie dei “furbetti” Stefano Ricucci e Danilo Coppola (intercettati) ha consentito di recuperare 100 milioni di tasse evase. L’indagine Antonveneta, costata alla procura di Milano 8 milioni di euro (6 milioni spesi soltanto per la custodia giudiziaria), ha permesso allo Stato di incassare 102 milioni con i primi patteggiamenti e di sequestrarne 350 (saranno confiscati in caso di condanna o patteggiamento). Fatti i conti, due soli processi pagano l’intera spesa delle intercettazioni italiane per due anni, più o meno. Costano troppo, le intercettazioni? Le frottole, che sembrano affascinare anche le fondazioni di Casini e D’Alema, servono a Berlusconi e corifei per fare il passaggio successivo che – va detto – il Capo non ha mani nascosto di voler fare. Ancora domenica scorsa in un’intervista a Repubblica, il premier ha ripetuto che “il sistema delle intercettazioni è marcio” e “va tagliato del tutto”, al più le intercettazioni dovranno essere un strumento “aggiuntivo” delle investigazioni. L’uomo è stato di parola. Lo ha fatto davvero e appare oggi insensata la soddisfazione di chi ripete di avergli fatto fare un passo indietro perché il disegno di legge prevede le intercettazioni per tutti i reati. La vittoria di Berlusconi è anche legislativa, infatti. L’esclusione degli ascolti per i reati sotto i dieci anni è stato soltanto il drappo rosso agitato davanti al muso del toro. Il toro ha caricato il drappo e ha consegnato il collo alla lama della spada. Conviene guardare, allora, alla lama che nel nostro caso si nasconde in un paio di regole annunciate dal segretario-ministro o già presenti nel disegno del governo. Le stupefacenti norme riguardano il chi, quando, dove e perché della riforma: chi autorizza gli ascolti; i tempi delle intercettazioni; il luogo dove effettuarle; il loro obiettivo.
Chi. Sarà un collegio di tre giudici a dare il consenso alle intercettazioni. Stravagante. Un solo giudice può infliggere l’ergastolo, ma devono essere in tre per un ascolto e poi non c’è dovunque una terna di toghe a disposizione per quella decisione. Ottanta tribunali hanno soltanto venti magistrati o meno. Bisognerebbe accorparli, i tribunali. Dovrebbe essere lavoro per il segretario-ministro che non ci pensa punto perché il Capo ha già fatto sapere che ci sarebbero sgradevoli proteste a difesa degli interessi locali. Niente da fare, allora. In ottanta tribunali dovranno scegliere o le intercettazioni o i processi. Quando. Le intercettazioni non potranno durare più di due mesi. Come se si dicesse che è legittimo indagare per sei mesi (quanto durano oggi le indagini), ma si può pedinare l’indagato soltanto per due mesi. Chi comprende questa mattana? Dove. Si potrà intercettare soltanto nei luoghi ove si ha il fondato motivo di ritenere che vi si stia svolgendo l’attività criminosa. Dunque, per esempio, non nelle caserme o nei commissariati (dove spesso gli indagati complici sciolgono la lingua per accordarsi). Non nelle carceri. Non con le telecamere negli stadi. Non si potrà più piazzare una microspia in una autovettura a meno non si sappia già che, in quell’auto, si prepara un delitto e non genericamente un delitto, ma quale delitto. Perché. Lo ha ripetuto ancora ieri il vero ministro di giustizia, l’avvocato del premier Ghedini: “Potranno essere intercettati solo coloro che sono colpiti da gravi indizi di colpevolezza”.
E’ questo il capolavoro che, come ha chiesto Berlusconi, annullerà, “taglierà via” (per usare le sue parole) le intercettazioni dalla scatola degli attrezzi della magistratura. Finora erano sufficienti “gravi indizi” per chiedere un’intercettazione “indispensabile ai fini della prosecuzione delle indagine”. Detto in altro modo, l’intercettazione doveva essere indispensabile per chiudere un’indagine. Da domani (approvata la legge) sarà necessario aver concluso l’indagine per ottenere un’intercettazione. Bisognerà già aver già intascato la colpevolezza dell’indagato per poter chiedere un ascolto. Nel mondo capovolto di Berlusconi, le prove delle colpevolezza devono esserci già per chiedere l’intercettazione che da strumento essenziale diventerà aggiuntivo, un extra a lavoro finito. Con un paradosso che a ogni persona assennata apparirà illogico, quel che oggi è sufficiente per proporre l’arresto dell’indagato o addirittura il suo rinvio a giudizio diventerà appena adeguato, domani, per chiedere un’intercettazione. Con quali effetti lo si può già prevedere. Un’indagine per omicidio contro ignoti non potrà contare più sulle intercettazioni.
Contro ignoti, non si può intercettare. In questi casi, solitamente si scrutano l’ambiente della vittima e i suoi nemici per rilevare le ragioni del conflitto, gli interessi in gioco, i sospetti dei familiari della vittima. Berlusconi pretende che se il pubblico ministero non ha già un nome, se non ha già raccolto prove della sua responsabilità e colpevolezza, si può scordare le intercettazioni. Quasi che l’ascolto telefonico fosse per la magistratura la ciliegina sulla torta, il premio per un lavoro ben fatto. I “cattivi” faranno festa e l’Italia diventerà un paese a criminalità immune. Vale la pena fare un esempio. Nella primavera del 2007 una parola di troppo in una conversazione intercettata in Sicilia lasciò capire che a Milano si stava preparando il sequestro di Paolo Berlusconi. I rapinatori furono arrestati alla vigilia dell’agguato, sotto casa del “bersaglio”. Con le nuove regole l’illustre fratello si sarebbe salvato? Troppe cose avrebbero dovuto incastrarsi per il verso giusto: un’ipotesi di reato che consente un ascolto oltre i due mesi; gravi indizi di colpevolezza già raccolti contro i “cattivi”; i “cattivi” che discutono del prossimo delitto proprio in quei due mesi in un luogo dove è stato documentato che si preparano traffici loschi. Una sciarada, un terno al lotto. Che renderà più insicuri gli italiani, più potente e soddisfatta la criminalità (potrà far crescere la sua quota di Pil), contento come una pasqua il sovrano, che distrugge le intercettazioni e sbanca con gli oppositori anche gli alleati.