Lettera ai procidani

Cari procidani,

ringrazio fin d’ora coloro di voi che vorranno prendersi il fastidio di leggere quello che,da stamani,ho in animo di scrivere.

Sono una vostra compaesana e vorrei farvi partecipi di alcune personali considerazioni a proposito delle imminenti elezioni alle quali tutti noi siamo chiamati. Non so voi ma io, nonostante l’età non più verdissima,ho molti sogni,per me stessa ma, soprattutto per i miei figli: sogni che,all’oggi, nessuna delle recenti amministrazioni ha realizzato,anzi.

Avrei desiderato un posto vivibile per i miei bambini: io,che giocavo a nascondino e a pallavolo in strada davanti casa perché i veicoli erano pochissimi, mi sono ritrovata a portarli a spasso nel mezzo di un traffico infernale ( che aumenta continuamente in maniera esponenziale)e selvaggio,costretti ad inalare dal passeggino gli scarichi tossici di ogni sorta di veicolo ( e poi ci si spaventa quando si sente dire che la nostra isola è il posto con maggior percentuali di tumori in Europa): pochi bambini hanno potuto fare i giri in bicicletta e sappiamo con quali patemi d’animo da parte nostra,molti  hanno dovuto giocare  chiusi in casa,al massimo in cortile ( ma non tutti hanno la fortuna di avere un cortile…);

io, che come tanti andavo e tornavo da scuola a piedi,nonostante la distanza,vedo i nostri giovani che non fanno un passo a piedi ma, vagano, a bordo di moto e macchine sempre più potenti,annoiati,abulici, senza meta: hanno la vita in palmo di mano,dovrebbero essere la nostra speranza ma, sembrano speranza non avere:non hanno luoghi di incontro, se non nei vari bar,lo spazio di ritrovo è l’unica discoteca che apre a notte fonda,costringendoli ad orari impossibili…io, che come ognuno di noi, avrei piacere di avere con me i miei ragazzi, mi son sentita dire da mio figlio,al ritorno dal primo imbarco a bordo di una petroliera ( i nostri gloriosi marittimi lo sanno bene,praticamente un carcere galleggiante) testuali parole: “ Mamma,è bastato che l’aliscafo entrasse nel porto di

Procida a farmi venire la depressione!”: aveva solo 18 anni!!!

Io,che come voi, ricordo quando il carcere a Procida funzionava facendo funzionare molte cose che intorno ad esso ruotavano oggi, a distanza di oltre vent’anni,guardo sconsolata un enorme fabbricato decaduto e fatiscente,che ospita solo fantasmi e  ratti grossi come gatti,zeppo di erbacce e  presidi medici abbandonati (…),snobbato anche dalle coppiette in vena di romanticherie…Io,che come voi,ricordo i nostri vecchi contadini,che curavano con amore, dedizione e competenza orti e “parule” i cui frutti non avevano nulla da invidiare a ben altre produzioni ( professionisti in ogni campo e in ogni dove venivano omaggiati di fasci di carciofi procidani,cassette di limoni e ceste di pesce che gustavano estasiati)oggi guardo con nostalgia i pochissimi contadini rimasti a coltivare terreni sempre più piccoli e sempre meno valorizzati.

Vedo la mia isola svenduta,decaduta: non vi dico le volte che, contro natura di ogni genitore, ho detto a i miei figli di andare via, lontano da questo posto velenoso e avvelenato da ogni sorta di veleno, il più potente dei quali è l’indifferenza perché, ricordiamocelo tutti,anche la disonestà, le connivenze e ogni altro genere di male, presuppongono un tornaconto , l’indifferenza no: è completamente gratuita. Vi starete chiedendo cosa voglio: voglio cambiare!

Ricordo una preghiera che recitava pressappoco così:

“Signore, dammi luce per distinguere

Ciò che può essere cambiato, da ciò che non può esserlo;

dammi coraggio per cambiare ciò che può essere cambiato;

dammi forza per accettare ciò che non può essere cambiato.”

Miei cari compaesani, noi tutti sappiamo bene che una sola cosa nella vita di ognuno di noi non può essere cambiata…sono cosciente del fatto che i cambiamenti non si attuano da un giorno all’altro, costano fatica, sudore, rinunce ma , nel caso specifico sono doverosi: coloro ai quali abbiamo dato mandato di amministrarci la loro possibilità l’hanno avuta, come l’hanno messa a frutto ognuno di noi in cuor suo lo sa e lo vede, con i propri occhi ogni momento. Passiamo oltre, passiamo il testimone, non dico al tizio o al caio, ma cambiamo: riappropriamoci della nostra cultura del sociale, smettiamola di coltivare il nostro orticello ( tanto, se anche non ce lo portano via, ce lo rinfaccerebbero a vita), smettiamola di chiamare favori quelli che dovrebbero essere sacrosanti diritti di tutti, tra l’altro pagati profumatamente, riprendiamoci ora i nostri spazi,  i nostri sogni e quelli dei nostri figli, riprendiamoci la nostra isola: potrebbe essere la nostra ultima occasione, oggi noi possiamo.

Auguri a tutti!

 

Lettera firmata

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