di Dino Ambrosino
Dopo qualche giorno dall’esecuzione del primo abbattimento sull’isola di Procida è utile interrogarsi sulle cause e sulle prospettive che la comunità procidana ha di fronte. La cosa più evidente è che la mano dura dello Stato si è fatta sentire su una famiglia media, che aveva costruito l’abitazione per risiedervi, in una zona interna dell’isola dove non c’era contrasto con rilevanti interessi paesaggistici. Questa circostanza ha mosso l’opinione pubblica procidana in un impeto di solidarietà che non si è comunque trasformata in contrasto all’esecuzione della sentenza. Le forze dell’ordine infatti, pur accorse in gran quantità, non hanno incontrato resistenza né nella cittadinanza né nella famiglia che ha vissuto con grande dignità ogni singolo passaggio.
E già questo è un elemento peculiare del “caso Procida”. Noi non siamo criminali speculatori né rivoluzionari impegnati a combattere la legge. I procidani hanno chiesto di fare quello che da secoli si fa sulla nostra terra: navigare in alto mare per destinare i proventi al benessere alla propria famiglia, investendo in un bene che viene considerato universalmente primario.
Chi viene dall’esterno apprezza le nostre dimore storiche, i palazzi e le costruzioni secolari circondate da “frutteti e vigneti che sembrano giardini imperiali”. Ma sempre dall’esterno si è abbattuto su Procida un disegno vincolistico che ha voluto scindere il rapporto tra il lavoro, la legge e la casa. Vorrei che si riflettesse bene su questo discorso, anche fuori dalla nostra isola, e che la lettura del fenomeno dell’abusivismo venisse inquadrata innanzitutto in questo contesto.
Pretendere di essere tutori radicali significa rinunciare alla gestione politica del territorio. E crediamo che la politica sia stata l’elemento assente in tutta questa vicenda. Abdicare al ruolo di amministrare con anticipo i fenomeni significa ridursi a fare gli “spicciafaccende” quando i problemi si presentano, con il rischio di essere incapaci di gestirli come si è verificato. Qual è allora la differenza tra un Sindaco ed un Commissario Prefettizio?
Tanto premesso è opportuno chiedersi cosa c’è ancora da fare per il futuro. Noi proponiamo innanzitutto tre cose.
1) Informazione e sensibilizzazione della cittadinanza sul problema dell’abusivismo. In ogni sede bisogna chiarire che la legge va rispettata e che in caso di infrazione i rischi oggi sono enormi;
2) Dare seguito al processo di acquisizione a patrimonio comunale subito per ogni nuova costruzione. L’acquisizione ha inizio per legge 90 giorni dopo la scoperta dell’abuso se l’interessato non demolisce. Dare seguito significa intervenire dopo i 90 giorni con gli adempimenti burocratici, la destinazione a pubblica utilità o con l’abbattimento ad opera del Comune; nei 90 giorni gli Amministratori possono cercare di persuadere l’interessato a demolire a proprie spese per non correre il rischio di perdere anche la proprietà della terra;
3) Iniziare una seria politica della casa. Favorire con tutti gli strumenti possibili l’apertura di un mercato concorrenziale dei fitti con l’obiettivo di far aumentare i proprietari disponibili a cedere le proprie case ai procidani e ridurre i prezzi. Risolvere con il parere della Soprintendenza i casi di condono edilizio pendenti per consentire ai proprietari di vendere legalmente gli immobili, immettere nel mercato questi manufatti, ed ottenere un abbassamento dei prezzi.
E’ evidente che queste proposte necessitano di serio impegno a realizzarle e di tempo. Ma è anche vero che se si fosse iniziato 15 anni fa oggi saremmo a buon punto. Si è preferito invece mettere la testa sotto la sabbia ed aspettare gli eventi.
Noi proponiamo di assumerci le responsabilità perché solo la Politica, quella vera, può evitare le invasioni di campo della Magistratura e può essere più efficace di un funzionario dello Stato.
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