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Editoriale di Giuliano Santoro
“Dove vola il denaro?”
Il fatto che Dario Franceschini abbia scelto il tema del reddito ai disoccupati nel tentativo disperato di mostrare alla società italiana di non essere il curatore fallimentare del Partito democratico ma un segretario con pieni poteri del «principale schieramento a Berlusconi avverso», è molto significativo.
E’ innanzitutto la conferma che la crisi ripropone il tema di un reddito sganciato dalla prestazione lavorativa. Se movimenti e sindacati, a vario titolo e con gli strumenti che più gli sono propri, non avranno la forza di imporre questa rivendicazione, la bandiera del reddito finirà in mano alle armate populiste berlusconiane [con le conseguenze sociali disastrose che si possono immaginare in termini di consenso al Capo] nella forma di un qualche sussidio di povertà o diventerà merce di scambio delle malmesse truppe «riformiste». «Si taglino le pensioni e si riformino gli ammortizzatori sociali», dicono già in molti, da destra e da sinistra, sventolando tabelle e applicando automatismi veteroliberisti che hanno fatto il tempo loro.
Invece, il momento sarebbe propizio per scardinare la vetusta corrispondenza tra reddito e impiego. Per farlo bisogna cominciare a seminare parole semplici ma non ideologiche. Forse non sarebbe neanche necessario assumere una volta per tutte la connessione tra la volatilità del denaro e il farsi liquido del lavoro e della valorizzazione capitalistica, cosa di cui un giorno bisognerà prendere atto smettendola di pensare [come fa Tremonti] alla finanza come una malapianta cresciuta nel bel prato all’inglese del capitalismo globale. Si potrebbe magari cominciare a dire con chiarezza – come ha mostrato il presidente degli Stati uniti Barack Obama con l’aumento delle imposte per i ricchi e come ha detto persino l’ex liberalizzatore Pierluigi Bersani – che i soldi ci sono. Basta andarli a prendere.