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Editoriale di Olivia Fiorilli
Quando è stupro?
Proviamo a fare il punto sulle vicende seguite agli stupri che hanno provocato l’ondata di ronde, provvedimenti speciali e razzismo dell’ultimo periodo. I due uomini di cittadinanza rumena inizialmente accusati dello «stupro della Caffarella» a Roma sono ancora in carcere. Nonostante gli esami del Dna dimostrino che non sono gli autori della violenza, le porte del carcere non si sono ancora riaperte. L’esame del dna ha portato all’arresto di altri due uomini, anch’essi rumeni, per i quali Alemanno invoca «pene esemplari». E fin qui siamo ai «mostri rumeni».
Per lo «stupro di Capodanno», invece, del quale è accusato un italiano di «famiglia per bene», le cose stanno andando diversamente. Era tornato in carcere in seguito al varo del decreto anti-stupri, che tra le altre cose impone la custodia cautelare. Ma il giudice per le indagini preliminari lo ha ora rilasciato, perché la vittima sarebbe «poco credibile», mentre la versione del ragazzo potrebbe essere «sincera». Secondo l’accusato si sarebbe trattato di un rapporto «consensuale» con gravi lesioni [queste, lo ammette anche lui, «non consensuali»] provocate dal suo stato di alterazione. Il ragionamento è: se non c’è stato un esplicito rifiuto iniziale a qualunque tipo di contatto fisico, se lo stupro non è avvenuto secondo lo schema che questa ondata di politiche securitarie sta contribuendo a fissare nell’immaginario collettivo [penetrazione violenta ad opera di uno sconosciuto, possibilmente straniero] non si tratta di violenza sessuale. Tutto questo non ha nulla a che fare con il garantismo o con il giustizialismo, con il carcere e la presunzione di innocenza, ma con la «percezione» sociale di cosa sia violenza sessuale. E c’è da preoccuparsi.