Procida. Cartoline dal Brasile di Rino Scotto

CARTOLINE DAL BRASILE / febbraio 2009
Eluana, Battisti, Italia.

Al mio ritorno in Brasile dopo una lunga parentesi, scopro quanto sia d’attualità il nostro paese. In attesa di vedere come finiva la disputa calcistica del ” Derby del Mondo” poi risoltasi con la netta vittoria dei verdeoro, i brasiliani ci hanno fatto le pulci. Dallo sgarbo di Amauri conteso dalle nostre rispettive selezioni, convocato da Dunga ma bloccato dalla Juve fino a Battisti, che intona il “Il mio canto libero” ma non è Lucio redivivo, passando per la tragedia Englaro, abbiamo assistito a un festival di luoghi comuni sul caro, vecchio stivale francamente insopportabile. Comincio da Amauri con una soluzione neutrale: facciamolo giocare con la Svizzera e non se ne parli più. Qualche frescone lo aveva proposto in uno scambio con Cesare Battisti mischiando sacro e profano…decidete voi chi includere nelle due categorie. Qui il calcio è religione quindi ogni dubbio è fugato. Piuttosto i nostri amici brasiliani continuano a chiedersi perché mai noialtri avremmo cancellato una partita di pallone pur di riavere un terrorista nelle nostre galere. E che diamine, avrà ammazzato e seminato terrore in una lotta armata contro innocenti, ma vuoi mettere una pedalata di Robinho? Ma si sa, l’Italia quando non è terra di mafiosi è un popolo fascista(quando c’è il Berlusca in sella, chiaro…) e razziatore impunito di belle mulatte. Italiani simpatici qui in Brasile solo Roberto Baggio per aver sbagliato il rigore nella finale del ’94, Laura Pausini, Tiziano Ferro e pochi altri. Insomma, io collezionavo pallottole e intimidazioni nella culla della democrazia e del diritto e non lo sapevo! Il Ministro della Giustizia Tarso Genro, che si entusiasma di fronte alla sigla PAC che qui sta per Programma(governativo) di Accelerazione della Crescita(economica), ora ci da lezioni sulla giustizia dall’alto della grande tradizione giuridica brasiliana, ci dice come chiudere i conti con la nostra storia recente intrisa di sangue e si tiene stretto Cesare Battisti causa un deficit di garanzie del nostro paese. Solleva una questione di lesa maestà e il popolo è tutto con lui. Il presidente Lula, che si divide tra il moribondo Castro e l’iperattivo Chavez, ha mostrato i muscoli a Napolitano e, mentre vi scrivo, il Supremo Tribunale Federale(STF) ha dato un parere sulla vicenda tanto ambiguo quanto inutile. Il nostro Premier sbarcherà in terra brasilis nei prossimi mesi e se non presterà attenzione solo ai danè, alle pacche sulle spalle e a ulteriori rinforzi per il Milan, sentirà sulla pelle il clima torbido che aleggia sul capo dei suoi concittadini perseguitati o incarcerati ingiustamente. Dovrebbe, allora,
ricordare agli inquilini del Planalto che un paese in cui il braccio operativo dello stato, cioè la polizia e le forze dell’ordine in genere, tortura e uccide, senza remore per donne e bambini, coloro che dovrebbe difendere, non può dare lezioni a nessuno tantomeno considerare ancora “aperte” ferite storico politiche che non gli appartengono. Nel mentre mi rassegno: potrei imbattermi nel perseguitato Battisti passeggiando per le strade di Rio a godersi l’asilo politico e l’ultimo cd(autografato) di Carla Bruni….
Come se non bastasse ciò, il massimo del fascismo lo abbiamo raggiunto con l’accanimento del governo e di buona parte della società civile per salvare Eluana Englaro. A morte sopraggiunta, qualcuno ha esultato come si trattasse di una vittoria di civiltà mentre coloro che hanno cercato di evitare un omicidio di stato, sono stati sbertucciati finanche qui dove il motto “ordine e progresso” della bandiera brasiliana scandisce migliaia di esecuzioni sommarie. Eluana se n’è andata mettendo in crisi coscienze e istituzioni. Certo, si dovrebbe rivedere un sistema dove un uomo solo, in nome del popolo italiano, sancisce una condanna a morte contro la volontà del governo che, se pur fuori tempo massimo, voleva salvare una vita. Si parla di eutanasia e la si usa come scudo per coprire quello che a molti giuristi, sembra configurarsi come omicidio colposo. Il confronto politico partorirà il tanto agognato testamento biologico, scosse di assestamento tra le massime istituzioni garantiranno altri decenni di gattopardismo, ma io vorrei guardare al dolore di Beppino Englaro senza giudizio, senza chiamarlo sul banco dei rei, senza proporre medaglie al merito. La determinazione con la quale un padre chiede di poter porre fine alla vita della figlia escludendo il miracolo e la speranza, devono dirci di una condizione umana che neanche tutti i dibattiti e i disegni legislativi di questo mondo possono decifrare. Una normativa si rende necessaria, ma nessuno tocchi Beppino, che nessuno spalmi il suo dolore sulla propria causa politica o civile. A me, provocato nel profondo da questa vicenda, ha fatto impressione la scomunica laica piovuta qui come in Italia, su chiunque abbia osato difendere una vita. Mi è sembrata una grande chiamata alle armi da ambo le parti, uno schierarsi in trincea, una battaglia senza esclusioni di colpi sul corpo già dilaniato di Eluana. Chi ha vinto? Io no di certo, ma neanche Napolitano e Berlusconi, i pro life e i pro death, cattolici e atei. Eluana ci ha mandato tutti in coma mentre, come un in reality show, decidevamo al posto suo se dovesse restare o uscire di scena. Morta conforme il protocollo: un’espressione di inaudita violenza che forse ha riecheggiato in qualche lager, qui in Brasile ha capeggiato sui quotidiani per l’ultimo atto della tragedia. Meno male – il commento i tabloid – nonostante il clamore reazionario sollevato dalle falangi fasciste capeggiate dal dittatore Berlusconi, Eluana è spirata secondo il santo protocollo…
Giustizia è fatta, la legge ha trionfato. Quante volte, però, la legge e le istituzioni sono state, loro malgrado, nemiche della vita? Fin dove bisogna spingersi per salvare una vita quando ciò potrebbe significare andare contro la legge? Dilemma più che mai attuale soprattutto nel pais tropical. Uno dei film più quotati attualmente nel box office brasiliano, ha fatta sua la domanda, la cruda realtà ha fornito la risposta. In “Veronica” una professoressa si mette in fuga scavalcando regole e istituzioni con un bambino di otto anni a cui hanno ammazzato i genitori coinvolti col narcotraffico; poliziotti corrotti(realtà conclamata in Brasile…) si mettono sulle tracce dei fuggitivi per eliminarli entrambi. Ma la società non aiuta Veronica perché, in fondo, si sta spendendo per salvare una vita “non sua” dimenticandosi di rivolgersi ai consigli tutelari, ai giudici. La protagonista sa benissimo che consegnare il bambino alle istituzioni significherebbe condannarlo a morte e così continua a scappare da tutto pur di salvare una giovanissima vita. Una gragnola di prese di posizioni, dibattiti televisivi, analisi sociologiche e poi il fatto con cui il reale, senza mai tradire, mette d’accordo pro e contro. Fuori dal set cinematografico a 15 giorni dall’uscita della pellicola, una bambina di cinque anni viene uccisa perché testimone dall’assassinio del padre in libertà vigilata. La famiglia era sotto custodia e neppure dopo l’esecuzione dell’uomo, la mamma della bambina ha ritenuto opportuno mettersi al sicuro. Davanti al corpicino inerme di Rayssa, in tanti hanno rivisto “Veronica” con un altro sguardo e una risposta diversa. Tra qualche giorno, il carnevale cancellerà lo stato di tensione che ha caratterizzato gli ultimi mesi di relazione tra Brasile e Italia anche se restano sul tappeto questioni di fondo ormai così evidenti da meritare maggiore attenzione e approcci più disincantati. Dopo la colonizzazione dei portoghesi, siamo noi italiani il popolo che più ha contribuito alla crescita e al progresso di questo straordinario paese; aziende di punta del sistema Italia quali FIAT e TIM in Brasile allevano galline dalle uova d’oro. L’80% delle organizzazioni non governative che operano nel sociale e nella cooperazione, sono italiane eppure, in un recente viaggio, un governatore(a sua volta fondatore di una ONG…) di Stato di Rio de Janeiro, mi ha ribadito a chiare lettere che il mondo politico locale ci guarda con diffidenza e mal sopporta la nostra capacità di denuncia. Fanno comodo gli euro, ma gli europei scomodano…gli italiani poi…
Concetto ribadito da un giudice incontrato a Napoli a casa di amici che in Brasile hanno pagato a caro prezzo il pregiudizio e lo sgangherato sistema giudiziario, lo stesso che potrebbe mettermi dietro le sbarre perché qui lo straniero non può parlare male del governo locale…il mio avvocato è avvertito.

Rino Scotto di Gregorio

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