Procida. "Ma non abbiate paura…"

di Arcangelo Lubrano

 “Non vi dico nulla di nuovo se vi affermo che viviamo in tempi difficili, tutti ne siamo convinti……. Si riparla di guerra, di equilibri ecologici distrutti, di mancanza di fonte energetica e ciò che peggio di  mancanza di lavoro. Ma dove la sofferenza è più acuta è nell’interiore dell’uomo; nel suo cuore, nei suoi rapporti con gli altri uomini, direi i più vicini nell’intimo della casa e perfino nell’intimo della comunità ecclesiale, nella chiesa  stessa……. L’altro ieri, era la festa della mia diocesi e c’era la processione del Santo protettore. Una volta tale processione presentava uno spettacolo impressionante, uno spiegamento elegante, suggestivo, seguito dalla massa, capito, vissuto, vera testimonianza di fede. Ora era  davanti ai presenti una cosa penosa, vedere quei stendardi antichi passare tra l’indifferenza della gente e i rumori dei clacson, guardare quelle divise religiose che sapevano solo di passato, assistere a quello scontro tra due realtà che si passavano accanto, dava una impressione veramente penosa. Ma perché voler insistere su strade oramai impraticabili, perché non trovare qualche nuovo modo per presentare la nostra fede, perché non cercare di cambiare, perché non ricominciare daccapo, perché non riconvertirci. Il vangelo di Cristo è eterno, l’umanità è sempre la stessa, capace di santità e di peccato, se è cambiata la forma, la sostanza non muta……. Siamo noi che dobbiamo cambiare, direi che dobbiamo metterci nella convinzione di ricominciare daccapo, oggi stesso e per aiutarci non diciamo più, tutto sta per crollare; diciamo invece, tutto è già crollato. E’ più facile considerarci costruttori di un epoca nuova, più che difensori di un passato oramai finito, consunto, compromesso, morto”. 

Queste parole le pronunciava nel lontano 1980 Carlo Carretto in un testo dal titolo “Ma non avere paura”. Oggi dopo aver ascoltato da alcuni amici,  il racconto dello svolgimento del consiglio pastorale decanale,  ho verificato quanto queste parole risuonavano   attuali. Si ha  poca speranza, si ha paura della poca partecipazione alla vita parrocchiale,  di conseguenza si fa leva sui sensi di colpa per “recuperare”consenso e presenza; ma è proprio  il Papa che, durante il suo viaggio in Portogallo, ha messo in risalto che si è troppo investito in strutture, dimenticando che la chiesa è chiamata ad annunciare la “Buona Novella” per le strade del mondo e non ultimo il Cardinale Sepe nell’incontro di Pompei ha invitato i sacerdoti   ad uscire dalle sagrestie per andare incontro alla gente. Già il sociologo G.Campanini nel 2004 nel libro “Quale fede nella stagione della post-modernità”,  afferma:

“In primo luogo la nuova evangelizzazione dovrà passare sempre meno dalle strutture (oratori sale parrocchiali templi ecc) e sempre più dalle coscienze. L’attuale società occidentale è, e probabilmente continuerà a lungo a essere, una società for­temente individualistica, in cui la presa delle strut­ture sui singoli si fa sempre più debole e viene meno un costume diffuso e condiviso che sorregga, e al limite sostituisca, le opzioni individuali. Un cristianesimo tradizionale, fondato sulla «trasmissione» della fede nella famiglia e nelle strutture formative del passato, non appare più proponibile: alla forza della società secolare potranno contrap­porsi soltanto coscienze lucide e vigili, capaci di abbandonare un cristianesimo ripetitivo per pas­sare a un cristianesimo innovativo e creativo”

Qualcuno pensa che sia un ottimo momento per rileggere i Vangeli. Ma si possono leggere all’infinito e mancare l’incontro. Seguire Gesù non è un idea, è uno stile. E questo stile è lo spostamento verso l’altro, il diverso, chi non la pensa come me,  lo straniero, il giovane ecc… Essere uomini e donne capaci di ascolto, di fare spazio  all’altro , accogliere quanto  portano nel cuore,  ma che spesso gli si impedisce di raccontare. La verità non si possiede, la verità non si installa in nessun gruppo. Essa cammina con e  tra gli uomini. Il nostro linguaggio è troppo scontato, troppo “poco laico”,  e come già affermava il grande Teologo   D. Bonhoeffer  nel  maggio del 1944 quando era in carcere.

 “ Anche noi siamo di nuovo rinviati del tutto agli inizi del comprendere. Che cosa significhi riconciliazione redenzione; rinascita e Spirito Santo, amore dei nemici, resurrezione, vita in Cristo e sequela di Cristo, tutto questo è così difficile ..e lontano, che quasi non osiamo più parlarne Nelle parole e nei gesti tramandatici noi intuiamo qualcosa di totalmente nuovo, qualcosa che sta rivoluzionandosi, completamente, senza poterlo ancora afferrare ed esprimere: Questa è la nostra colpa. La nostra Chiesa, che in questi anni  ha lottato  solo per la propria sopravvivenza, come fosse fine a sè stessa, e incapace di esser portatrice per gli uomini e per il mondo  della parola che riconcilia e redime. Perciò le parole d’un tempo, devono perdere la  loro forza e ammutolire, e il nostro esser cristiani oggi consisterà solo in due cose nel pregare e nel operare ciò che e giusto tra gli uomini.” (“Resistenza e resa. Lettere e scritti dal carcere”, ed. San Paolo)

Amare Dio e amare il prossimo. Ecco  l’equazione  spirituale, fondamentale alla base del cristianesimo. Ma come si fa ad amare Dio, lui che è Amore? Dio si ama accogliendo il suo amore per poi donarlo.  Il Dio di Gesù è un Dio che “sorge”, sorge dove chi è affamato gli é dato da mangiare, assetato gli è dato da bere,  forestiero è ospitato, nudo è vestito, ammalato o in carcere è visitato.

Ecco allora, che  prima delle normali attività (amministrare i sacramenti, la liturgia, organizzare catechesi, gestire strutture e beni)  è necessario spostarsi lungo le correnti vitali dell’Amore  indicate da Gesù nelle Beatitudini (Mt 5, 1-12; Lc 6, 20-23; cioè di seguire la corrente della condivisione, della pazienza, della mitezza, del servizio alla giustizia, della misericordia, della purezza di cuore, del servizio alla pace, del coraggio nella persecuzione, sforzandoci di non diventare persecutori.

Prima di rivendicare la continuità, con la tradizione e con l’autorità gerarchica, occorre accettare la Parola che Gesù incarna come un invito a rinascere dallo Spirito per una vita completamente rinnovata, trasfigurata. Allora potranno fiorire ovunque comunità che realizzano il sogno di Gesù. Il Dio di Gesù è il “Dio Kenotico, svuotato di sé stesso” che ha rinunciato a ogni grandezza, a ogni maestà a ogni espressione di potere,“spogliò se stesso, assumendo la condizione di servo e divenendo simile agli uomini; apparso in forma umana,  umiliò se stesso facendosi obbediente fino alla morte e alla morte di croce.” (Fil.2,7-8)

Un Dio dunque che non può essere rappresentato dal clamore, dal lusso, da spese inutili, dalla grandiosità e dal potere con cui il clero pretende di “rappresentare” o rendere presente. Ma prima di tutto e al di sopra di “tutto”  favorire percorsi di fraternità, di corresponsabilità   nella società laica, nello Stato laico, nelle istituzioni laiche;  solo  a partire  dalla laicità  è possibile vivere il cristianesimo.

Essere chiesa non è scontato, e non  trova  la sua identità secondo le modalità più ovvie, per cui  è Chiesa, solo ciò che coincide con il Vaticano o la Gerarchia. La Chiesa  rinasce, fiorisce e trova la sua identità lì dove si accoglie l’invito del Padre alla filialità universale, e  non  dove  si lasciano trascorrere cento anni per un Concilio, non dove la convocazione di  un Consiglio pastorale (cui partecipano solo uomini e donne scelti dai preti) diventi prassi di facciata e non il frutto di una comunità riunita in assemblea permanente. Solo dinanzi alla testimonianza di queste comunità che sarà chiara e luminosa la fede, quella fede che  riapre il futuro alla speranza. Quella  fede  al servizio, che  non distrugge, ma guarisce, riabilita, dona Vita.

Arcangelo Lubrano

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