“Nella Giornata Mondiale della Libertà di Stampa, riaffermiamo il diritto dei media di svolgere il proprio lavoro. A meno che le idee e le informazioni non possano viaggiare liberamente, sia all’interno delle frontiere che al di là di esse, la pace rimarrà un obiettivo inafferrabile. Laddove viene imposta la censura a rimetterci sono tanto la democrazia quanto lo sviluppo. Una stampa libera e indipendente, infatti, costituisce la linfa vitale di società forti, funzionanti e un mezzo di cruciale importanza per lo stesso progresso.” (Kofi Annan, SEGRETARIO GENERALE DELLE NAZIONI UNITE, 2003)
Senza libertà di espressione, quindi, non può esistere democrazia. Da questo punto di vista le cose nel mondo, nonostante i tanti buoni propositi, non girano affatto per il verso giusto. Nel suo rapporto annuale sulla libertà di informazione Freedomhouse parla di un arretramento generalizzato, Italia inclusa, a partire da Roberto Saviano, Rosaria Capacchione e i tanti minacciati dalla criminalità organizzata e dalla mancanza di pluralismo. Il luogo dove il mestiere di reporter è più a rischio resta comunque l’Iraq, ma anche in Messico, Colombia, Filippine, Iran la situazione è critica. In Italia l’associazione Information Safety and Freedom ha promosso una campagna per ottenere la liberazione di un giovane cronista afgano Sayed Parwez Kambaksh. E’ stato condannato a vent’anni di prigione per aver spedito via mail un articolo che difendeva i diritti delle donne. Il problema è che a infliggergli questa punizione, per presunta blasfemia, non sono stati i talebani, ma il regime di Karzai insediato dagli occidentali. Il che è tutto dire!
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