L’infatuazione degli elettori italiani per Matteo Renzi e il suo partito democratico sembra ormai consegnata alla umorale e schizofrenica storia dello sciagurato presente politico italiano. Una storia raccontata a caratteri cubitali sulle pagine di cronaca giudiziaria dei quotidiani, scritta dagli arroganti discendenti di una classe politica che non può e non deve limitarsi ad andare quanto prima a casa, ma in troppi casi deve anche e soprattutto andare in prigione.
Annunci strepitosi culminati nel migliore dei casi in una bolla di sapone, inciampi verbali sulla ribalta nazionale e internazionale e uno sprezzante delirio di onnipotenza proferito contro i pochi presunti nemici e i tanti genuflessi amici, un’azione di governo estemporanea, impreparata e inconsistente e una realtà nemica maldisposta a piegarsi ai suoi desiderata hanno condannato Matteo Renzi a un crollo nei consensi.
L’uomo solo al comando, il grande decisionista a favore di telecamera, è riuscito nell’impareggiabile impresa di dilapidare in poco più di un anno un patrimonio di sostegno e di fiducia popolare, rigettando in un ginepraio di incertezza e incontenibile delusione i tanti supporters della prima ora. Gli stessi supporters che adesso cominciano a guardarsi attorno alla ricerca di qualcuno in grado di tirare fuori l’Italia dalla palude .
Così, ad appena un anno dal brillante 40,8 per cento siglato alle elezioni europee, il giudizio degli italiani sul partito democratico e su Renzi è insieme impietoso e inflessibile. Un giudizio consacrato dalle ultime rilevazioni degli istituti demoscopici nazionali, che accreditano unanimi al PD il 32 per cento dei consensi, ben 9 punti in meno rispetto all’ultima tornata elettorale nazionale e a una distanza che adesso è di appena sei punti dal Movimento cinque stelle, segnalato in costante e forse inarrestabile ascesa. A seguire i partiti del centrodestra, con Forza Italia e la rinnovata Lega di Matteo Salvini appaiate con un 14 per cento ciascuno, mentre Fratelli d’Italia si assesta a una cifra di poco superiore al 3 per cento, quasi in linea con il 3,5 per cento dell’Area popolare di Angelino Alfano. Un chiaro segnale di come gli spazi di manovra per una futura coalizione di centrodestra siano tutt’altro che esigui.
Tuttavia, al netto delle stime e dello stato di salute di partiti e simboli vecchi e nuovi, il vero dato saliente della politica dei nostri giorni è quello della fiducia personale dei leader, il vero discrimine di vittorie o disfatte elettorali .Un favore personale che nel caso del Presidente del consiglio in carica è giunto al suo livello più basso, registrando il 41 per cento del favore degli italiani a fronte del 49 per cento segnato non più tardi di tre mesi fa: un apprezzamento a ben vedere in caduta libera, sfidato a stretto giro di posta da Matteo Salvini dato al 37 per cento dei consensi, da Beppe Grillo al 31 per cento e da Giorgia Meloni al 30.
Archiviato con poco onore il ventennio berlusconiano, ai tanti italiani che ancora si riconoscono nei valori di una destra liberale e nazionale non resta che confidare nell’avvento, il più presto possibile, di un nuovo, credibile e convincente leader. Un leader onesto capace di incarnare lo spirito di un popolo che non si arrende al crepuscolo della Nazione né tantomeno è disposto a barattare i propri ideali con la indistinta e urticante melassa renziana. Un leader che dovrà essere capace di ricordarci, in questi anni difficili, che sperare in un’Italia migliore non è una fatica vana né un sogno impossibile.