L’Italia sovranista e la UE. Da Stato fondatore a Stato canaglia?

di Nicola Silenti da Destra.it

Il presagio sinistro di un destino di lacrime e sangue analogo a quello della Grecia. L’oracolo delle nostre disgrazie prossime venture è, neanche a dirlo, ancora e per l’ennesima volta il presidente della Commissione europea Jean Claude Juncker, che nei giorni scorsi ha deliziato gli euro burocrati della Banca centrale e una platea innumerabile di squali finanziari di mezzo mondo definendo l’Italia «un problema serio» per l’Europa e paventando come un rischio sempre più concreto l’apertura per il nostro paese di una procedura d’infrazione. Un affondo che arriva proprio nelle giornate convulse delle trattative sui nostri conti pubblici, turbate a dir poco da un presidente della massima istituzione europea che brandisce sull’Italia come una mannaia il rischio per i prossimi anni dell’apertura di una «procedura per i disavanzi eccessivi». Una minaccia, quella di Juncker, agitata con il palese obiettivo di condizionare al massimo grado, da un lato, le prossime misure che il governo si appresta ad adottare e, dall’altro, di influenzare l’orientamento in merito dei due organi cui spetterebbe la decisione infausta, Commissione ed Ecofin, vale a dire il Consiglio di economia e finanza composto dai ministri omologhi degli stati membri dell’Unione. Un’affermazione ispirata dal timore che il governo Conte «si stia muovendo nella direzione sbagliata» afferma Juncker, ma che in realtà nasce dalla volontà dei paesi settentrionali dell’Unione di impedire all’Italia (e in generale all’area dei paesi mediterranei) ogni provvedimento che si discosti dalla falsariga dell’austerity seguita in modo ferreo e pedissequo dal nostro Paese sin dall’ingresso nell’area Euro. Un ingresso condizionato sul nascere dal pesantissimo fardello italiano di un debito pubblico monstre, eredità avvelenata dell’infausta epoca della prima repubblica e di quel crimine imperdonabile chiamato consociativismo.

In concreto, a pesare sullo sguardo interessato della Commissione e dei big d’Europa è ogni ipotesi di riduzione delle tasse e di innalzamento della spesa da parte degli esecutivi italiani, in particolare quello gialloverde guidato da Giuseppe Conte, bollato sin dall’insediamento col famigerato marchio a fuoco di governo “populista” e, peggio ancora, “sovranista”.

In concreto, quello che la Commissione europea guidata da Juncker contesta all’Italia è proprio la violazione dell’impegno sottoscritto a suo tempo dal nostro Paese di non incrementare oltre la soglia del tre per cento il proprio disavanzo, col via libera formale all’avvio della procedura di infrazione prevista dai trattati e l’obbligo italiano di “uniformarsi” alle raccomandazioni della Commissione. Detto altrimenti, al netto dei formalismi del gergo burocratico comunitario, il governo dell’Europa avverte l’Italia delle conseguenze cui va incontro chi pensa di potersi affrancare liberamente dal suo giogo di ricatti e aut aut spietati. E non importa che si tratti di governi liberamente e democraticamente eletti, forti del consenso popolare e in pieno diritto di assumere le proprie decisioni: chi non si adegua, o meglio si piega, finisce nel baratro della Grecia, preda degli appetiti interessati di una finanza criminale che in pochi istanti può depredare per un tozzo di pane una nazione dalle sue aziende migliori e precipitare un intero popolo nella miseria e nella fame. Uno scenario apocalittico in realtà molto più realistico di quanto ciascuno di noi immagini: uno scenario davanti al quale uno stato ha tutto il diritto di riprendersi la propria sovranità nazionale, economica e monetaria, e cambiare finalmente la propria storia decidendo in autonomia quali strade percorrere per determinare il proprio sviluppo.

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