L’ONU con la risoluzione 1838 del 5 ottobre 2008 ha autorizzato le navi da guerra dei Paesi coinvolti a condurre un’azione di contrasto al fenomeno della pirateria marittima. Nonostante questo però, finora centinaia di mercantili sono stati intercettati e catturati dai pirati somali.
Al 17 marzo scorso, secondo quanto riportato sul sito http://www.eunavfor.eu, sono almeno 25 le navi e 567 i marittimi catturati e trattenuti dai pirati somali in attesa che si paghi un riscatto per il loro rilascio. Una sorta di ‘cavallo di ritorno’. In verità però, le navi in mano alle gang del mare che scorrazzano nel mare del Corno D’Africa e Oceano Indiano sono molti di più. Dovrebbero essere almeno 40 le imbarcazioni in mano ai predoni del mare somali. A questi poi vanno aggiunte anche due chiatte, ormai trattenute dai pirati somali da oltre un anno, e altre sei navi di cui si è persa ogni traccia, dopo che i proprietari si sono rifiutati di pagare un riscatto per il loro rilascio. Sono invece, almeno 700 i marittimi tenuti in ostaggi o meglio prigionieri dai pirati somali. Tutti lavoratori di diversa nazionalità che erano imbarcati sulle navi catturate e che ora sono trattenuti in attesa che qualcuno, la compagnia proprietaria della nave o il governo del Paese da cui provengono, paghi il riscatto richiesto dai pirati somali per rilasciarli. Tra questi prigionieri vi sono numerosi marittimi di nazionalità filippina tanto è vero che le autorità di Manila hanno ordinato che nessun marittimo filippino debba più imbarcarsi come membro di equipaggio su cargo che devono attraversare il mare dei pirati. Tra i prigionieri dei pirati somali vi sono anche numerosi cittadini europei, almeno una ventina. Si tratta di tedeschi, greci, italiani e danesi. Inoltre, sono prigionieri dei pirati somali anche altre 7 persone che non erano in quelle acque infestate dai pirati per lavoro, ma per amore del mare e dell’avventura. Questi sono una coppia di sudafricani, il cui yacht, SY CHOIZIL, è stato catturato nell’ottobre 2010 e per il loro rilascio la gang del mare che li tieni in custodia ha chiesto 10milioni di dollari. Prigionieri dei moderni filibustieri somali ci sono anche una coppia di danesi il cui yacht, SY ING è stato catturato lo scorso 24 febbraio. Con loro catturati anche dei minori, i loro figli di 17, 15 e 13 anni, e due marittimi sempre danesi. Si tratta del primo caso di minori, europei, caduti nelle mani dei pirati somali. In mano ai predoni del mare, da tempo, sono caduti già altri ragazzi, mozzi a bordo di pescherecci egiziani catturati nel Golfo di Aden. Alcuni sono prigionieri dal lontano 2009. Si tratta di almeno 5 minori, ma di loro nessuno si è mai preoccupato, almeno finora. In quello che ormai è riconosciuto come il mare dei pirati, per cercare di contrastare il fenomeno della pirateria somala e proteggere la rotta commerciale che collega l’Asia con l’occidente, da parte dell’Europa e non solo, sono state dispiegate decine di navi da guerra. Si tratta di unità navali militari operanti nell’ambito di missioni internazionali anti pirateria marittima. Missioni autorizzate dall’ONU che con la risoluzione 1838 del 5 ottobre 2008 ha autorizzato le navi da guerra dei Paesi coinvolti a condurre un’azione di contrasto al fenomeno della pirateria marittima. Nonostante questo però, finora centinaia di mercantili sono stati intercettati e catturati dai pirati somali. Un fatto questo, che denota forse l’inutilità o per lo meno l’incapacità di poter fermare questo dilagante fenomeno nonostante si spendano milioni di euro ogni anno. La missione europea è denominata ATALANTA ed è partita nel dicembre 2008. In verità il contrasto alla pirateria marittima era stato avviato qualche mese prima, nel giugno 2008, quando vennero inviate nelle acque somale, infestate dai pirati, varie unità navali militari. Per prima intervenne la Combined Maritime Forces, CMF, che includeva tra gli altri il CTF 150 e CTF 151, a guida USA, il CTF 508, SNMG1, appartenente alla NATO e Unità navali appartenenti ad Arabia Saudita, Cina, Francia, Giappone, India, Malesia, Iran, Turchia, Corea del Sud e Russia. Oggi, a distanza di oltre due anni, a fronte di uno sforzo militare ed economico non indifferente, la sola missione ‘EUNAVFOR Somalia – Operazione ATALANTA’ costa ogni anno almeno 720milioni di euro, circa 2 milioni al giorno, i risultati sono insoddisfacenti. Questo a fronte del fatto che i pirati somali hanno finora catturato centinaia di imbarcazioni e un migliaio di marinai, equipaggi delle navi catturate. Un dato questo, che dimostra anche quanto un manipolo di uomini, un migliaio appena, tiene in scacco un’intera flotta navale militare o peggio ancora la comunità internazionale. Dopo che si era assistito, dall’inizio del 2010, ad una mancata relazione sulla reale situazione da parte delle marine militari che partecipano alle varie missioni anti pirateria. Da un pò di tempo, almeno da parte di EU NAVFOR, si è vista un’apertura a pubblicare i fatti di pirateria aggiornati mese per mese. Una pubblicazione da cui si evince che nonostante che i cargo siano ‘protetti’ dalle navi militari delle varie missioni antipirateria marittima molti di questi sono stati attaccati e catturati. Di fatto la missione EU NAVFOR ha ammesso implicitamente un mezzo fallimento. Secondo questa pubblicazione risulta che nel mese di gennaio scorso si sono verificati 28 attacchi pirati. Di questi attacchi EU NAVFOR rivela che 4 sono andati a buon fine. Il 12 gennaio 2011 catturata la MV LEOPARD, il 17 gennaio la MV EAGLE, il 20 gennaio la MV KHALED K MUHIEDDINE e il 22 gennaio la MV BELUGA NOMINATION. Mentre ha rivelato che si sono registrati due rilasci di navi tenute in ostaggio fino al pagamento di un riscatto. Il 20 gennaio 2011 la BUNGA LAUREL e il 21 gennaio la MV SAMHO GIOELLERIA. Sempre EU NAVFOR ha pubblicato che nel mese di febbraio si sono verificati 20 attacchi pirati di cui 7 sono andati a buon fine, mentre non si è registrato nessun rilascio di navi e uomini tenuti in ostaggi. L’8 febbraio 2011 catturata la MV SAVINA CAYLYN, il 9 febbraio la MV SL IRENE, il 12 febbraio la MV SININ, il 13 febbraio la FV ALFARDOUS, il 18 febbraio 2011 SY QUEST, il 24 febbraio SY YNG e il 28 febbraio la MV DOVER. A marzo invece, EU NAVFOR rivela che fino al giorno 12 ci sono stati 4 attacchi. In realtà però, secondo Ecoterra nei primi 76 giorni del 2011 ci sono stati ben 62 attacchi pirati e 18 navi catturate. L’escalation si è registrata dalla metà di febbraio, periodo dell’anno questo, che coincide con la fine della stagione dei monsoni che dura fino alla metà di aprile. Ogni anno in questo periodo i pirati somali si danno un gran da fare. L’ultimo assalto pirata andato a buon fine risale allo scorso 16 marzo quando è caduta nelle mani dei pirati somali la MV SINAR KUDUS catturata a 320 miglia a nord est dell’isola di Socotra. A bordo del mercantile 20 marittimi membri dell’equipaggio, tutti indonesiani. Il 14 marzo precedente era invece stato rilasciato il mercantile AC JAHAN MONI insieme al suo equipaggio di 26 marittimi tutti del Bangladesh. Nave e uomini erano trattenuti in ostaggio dai pirati somali dallo scorso 5 dicembre. Il 17 marzo successivo, era stato registrato invece, il rilascio della petroliera tunisina, HANNIBAL II che era nelle mani dei predoni del mare dallo scorso mese di novembre. Con la nave rilasciati anche i 31 membri dell’equipaggio di diverse nazionalità, tunisini, filippini, croati, georgiani, russi e marocchini. I marittimi hanno raccontato di essere stati tenuti per tutta la durata del sequestro sul ponte della nave e di aver mangiato solo riso e pesce. Lo stesso giorno però, si è registrato un attacco pirata alla MV IMPERATORE, attacco respinto dalle guardie armate private presenti a bordo del mercantile. La particolarità del fallito attacco sta nel fatto che i pirati somali hanno utilizzato come nave madre la MV SINAR KUDUS catturata il giorno prima. Per la cronaca anche la nave HANNIBAL II, recentemente rilasciata, è stata almeno una volta utilizzata dai predoni del mare come nave madre per la precisione nell’attacco alla MV BLIDA avvenuto lo scorso mese di gennaio. Sempre più spesso, i predoni del mare, stanno ricorrendo all’uso di navi pirat
ate come navi madri da cui lanciare i barchini d’assalto contro altri mercantili. Purtroppo, in molti casi i marittimi, equipaggi di queste navi, sono costretti, loro malgrado, a collaborare con i pirati somali nell’atto di pirateria, a volte solo manovrando la nave altre anche prendendo parte fisicamente all’arrembaggio. La non collaborazione comporta anche la morte, ma di certo pene corporali e psicologiche. Un fatto questo che espone, i marittimi prigionieri, a rischi e pericoli. Inoltre, tutto ciò li rende degli scudi umani, a cui i pirati somali possono ricorrere nel caso siano intercettati dalle navi da guerra delle missioni antipirateria. E’ questo un altro elemento che conferma quanto il fenomeno della pirateria marittima in Somalia abbia preso un indirizzo diverso da quello iniziale e che lo rende molto più pericoloso. La pirateria marittima in Somalia, e per essa i pirati somali, si sta rendendo responsabile di gravi violazioni dei diritti umani oltre che di azioni criminali ormai al di fuori dei canoni ammessi nel contesto in cui essa è nata. Gli assalti pirati alle navi, soprattutto commerciali, e non solo, ha ormai innalzato, l’area a Sud del Golfo di Aden e al largo della Somalia e dell’Oceano Indiano, ad un livello pari a quello delle zone di guerra come l’Iraq. L’intero bacino somalo è stato addirittura, da alcuni Paesi, interdetto alla navigazione delle barche di piccola stazza. Tra questi Paesi vi sono l’India e lo Sri Lanka. Il primo, dal marzo 2010, ha vietato nel mare dei pirati la navigazione alle barche a vela. Allo stesso modo lo Sri Lanka ha vietato ai propri pescherecci di addentrarsi nelle acque infestate dai pirati somali. E’ chiaro che il meccanismo messo in atto finora dalla comunità internazionale non funziona o almeno non rende. A parte l’idea, da più parti incoraggiata e sostenuta, compresa l’Italia, di voler ricorrere a guardie private armate da imbarcare sui mercantili, cosa questa che potrebbe ancor di più innalzare il livello della violenza se non inasprire la modalità di sequestro. Già si registrano i primi segnali. Negli ultimi mesi sono stati uccisi già sei ostaggi, quattro erano americani. Inoltre, i pirati somali hanno iniziato a ricorrere all’uso di esplosivo e saldatori. Questi strumenti sono usati per tirare fuori dalle camere di sicurezza, allestite su alcuni mercantili, l’equipaggio della nave assaltata che vi si era rifugiato. Finora questo stratagemma era servito a salvare nave e uomini dal sequestro. Comunque è impensabile che guardie armate a bordo possano riuscire la dove finora, visti i risultati, ha fallito una vera e propria ‘Armada’ dispiegata dalla comunità internazionale. Per molti il passo che sarebbe invece, importante da compiere, per combattere, forse, in maniera più efficace il fenomeno della pirateria marittima, dovrebbe essere quello di istituire un organo unico di comando e addirittura riunire tutte le missioni antipirateria, internazionali o dei singoli Paesi, in un’unica missione di contrasto. In questo modo come prima cosa, si eviterebbe di disperdere tutte quelle energie che ora sono utilizzate in maniera individuale o in operazioni che sono completamente indipendenti e a volte non coordinate. Qualcuno è andato anche oltre ipotizzando che le agenzie di intelligence internazionali possano riunirsi ed elaborare una strategia comune per debellare il fenomeno. Magari eliminando fisicamente in segreto i pirati somali che compongono le sei o sette gang del mare che spadroneggiano nel mare del Corno D’Africa . Per ora però, nel mare dei pirati continuano gli arresti di presunti pirati somali. Arresti che si possono compiere solo se questi sono colti in flagranza di reato. Al tempo stesso aumentano anche le condanne. Dal 2008 ad oggi sono stati sottoposti a giudizio oltre mille presunti pirati. Per molti di loro, almeno 90, è giunta la condanna. Come quella che, nei giorni scorsi, ha interessato 5 banditi del mare che negli USA sono stati condannati, per pirateria, al carcere a vita. Si tratta della prima condanna per pirateria comminata in America dopo oltre un secolo e mezzo. L’aumento degli arresti da parte delle marine militari internazionali e dei procedimenti giudiziari in corso contro presunti pirati dimostra un crescente riconoscimento del fenomeno della pirateria come problema globale Questo rivela che c’è stato il superamento dell’idea che nessuno voleva accollarsi il fastidio e l’onere di un processo contro i presunti pirati catturati e per questo molto spesso essi venivano subito rilasciati. Ora però, rimane da superare il problema di dove mettere in carcere i pirati condannati. Le carceri somali e non solo, sono ormai tutte piene. Proprio lo scorso mese di febbraio si è svolto a Copenaghen in Danimarca un incontro tra funzionari dell’ONU. Da questo incontro è emerso che sarebbe utile nella lotta alla pirateria costruire carceri direttamente in Somalia dove ospitare i pirati compresi quelli giudicati e condannati fuori del Paese africano. Sarebbero stati indicati come luoghi ideali il Puntland e il Somaliland, le due regioni semiautonome somale.
Ferdinando Pelliccia