PROCIDA – L’amplia bibliografia che vede protagonista l’isola di Procida si arricchisce di una nuova ed importate opera (358 pag.) scritta da Salvatore Di Liello e Pasquale Rossi dal titolo “Procida Architettura e paesaggio. Documenti e immagini per la storia dell’isola” edita da Nutrimenti che verrà presentata, con il patrocinio del Comune di Procida, domani sabato 3 giugno alle ore 18,30 presso la Chiesa di Santa Margherita Nuova.
Nel volume di Salvatore Di Liello e Pasquale Rossi, la Storia dell’isola è narrata in tre parti dove si ripercorre l’originaria formazione degli insediamenti, movendo da quelli antichissimi di Vivara inseriti nelle rotte micenee, e seguendo gli sviluppi successivi giungendo alla strutturazione dell’articolato impianto urbano contemporaneo. La storia degli insediamenti trovano una premessa, nel primo capitolo del volume, nel racconto ‘forestiero’ del luogo, uno specchio dove prende forma l’esperienza dell’isola di chi giunge a Procida alla ricerca di una propria visione che, non di rado, costruisce di fatto l’idea del luogo o almeno contribuisce a veicolarne l’immagine. È la costruzione di una visione, dove la realtà appare deformata dalla percezione del luogo di viaggiatori, artisti, architetti, intellettuali di ogni tempo e fotografi che hanno raggiunto l’isola trasformandola in un metastorico refuge, un’officina di idee dove il luogo reale svapora gradualmente lasciando spazio a un paesaggio mentale di idee e suggestioni, un’altra sponda da dove inquadrare il reale, anche ben oltre l’isola e il suo mare.
La storia dell’abitato, dagli aggregati micenei di Vivara alla formazione altomedievale del nucleo difensivo della Terra Casata e dei suoi sviluppi in età moderna, è descritta nel secondo capitolo dove nuovi riscontri interessano la lunga stagione medievale, un’età generalmente trascurata nelle Storie dell’isola, ma che invece – come attesta la presenza dei tre insediamenti benedettini di Sant’Angelo, Santa Margherita Vecchia e del Monastile di Santa Maria del Gesù – a un più attento esame delle fonti, rivela un’inattesa realtà territoriale intensamente strutturata e produttiva anche al di fuori dell’incastellamento naturale della Terra, unico nucleo stabilmente abitato e arroccato sull’altura a difesa dalle perduranti incursioni della pirateria musulmana, almeno fino agli ultimi decenni del Cinquecento. Sul volgere del secolo, sarà l’aggiornato pensiero moderno di Innico d’Avalos, Cardinale d’Aragona e abate commendatario del complesso conventuale di San Michele Arcangelo della Terra, appartenente alla famiglia feudataria dell’isola tra il 1529 e l’ascesa al trono di Carlo di Borbone (1734), che chiamerà Benvenuto Tortelli e Giovanni Battista Cavagna a declinare nell’isola il principale tema urbano della forma urbis moderna quattro-cinquecentesca articolato sulle relazioni tra palazzo della magistratura cittadina, forma geometrica della piazza aperta in corrispondenza della facciata dell’edificio e regolarizzazione della città medievale: un pensiero urbanistico destinato ad inaugurare la storia moderna urbana, territoriale ed economica dell’isola che investirà l’intero paesaggio toccato, da allora in poi, da rinnovate dinamiche produttive e insediative. Particolare attenzione in questo denso capitolo è rivolta proprio al palazzo d’Avalos che, fulcro del piano urbanistico attuato dal Cardinale d’Aragona, rientrerà più tardi in un progetto settecentesco, solo in parte realizzato, finalizzato a trasformare la dimora rinascimentale in residenza reale dei Borbone, la Real Caccetta, simbolo dei fasti dell’assolutismo e inserita tra le numerose riserve di caccia borboniche nel regno di Napoli. Con l’Ottocento il palazzo veniva invece trasformato prima in scuola militare e poi in penitenziario in seguito alla graduale aggiunta di edifici che formarono un grande complesso carcerario soppresso soltanto nel 1988 e oggi al centro di proposte e grandi attese sul futuro dell’isola.
Al centro del volume trova spazio una selezione di ventiquattro fotografie in bianco e nero di Massimo Velo che nel 1994 fermò frammenti di architetture in ritratti dove alla qualità dello scatto si aggiunge il valore documentario essendo ritratti architetture e luoghi non di rado alterati. L’autore, al quale sono da ricondurre numerose altre fotografie che illustrano il volume, costruisce in queste pagine un personale viaggio nell’architettura procidana, catturando ambientazioni, volumi e plastiche volumetrie del costruito.
L’istituzione settecentesca del Sito Reale di Caccia e della costruzione dell’impianto borghese degli spazi e delle attrezzature urbane, rientrano tra gli argomenti dei due capitoli della seconda parte del volume. Si tratta dell’ultima rilevante stagione di trasformazione del paesaggio naturale attuata tra il XVIII e il XIX secolo: il Settecento fu l’età dei fasti delle cacce reali che inserirono l’isola nel circuito delle principali riserve venatorie della corte, in diretto contatto con la capitale al pari delle altre numerose tenute reali. La destinazione venatoria dell’isola comportò il riassetto del paesaggio naturale punteggiato tra Sette e Ottocento, da residenze e casini immersi in riserve venatorie frequentate dalla nobiltà del regno. A Pizzaco, a Solchiaro, alla Starza e sull’intero territorio, fino ad allora intensamente coltivato, nuove architetture ridisegnarono l’immagine dei luoghi.
Era la premessa alla formazione di nuove strade sulle quali veniva a formarsi l’impianto urbano ottocentesco dell’isola ormai ininterrottamente sviluppato lungo la direttrice marina di Sancio Cattolico – Chiaiolella, l’ultimo borgo costiero raggiunto dallo sviluppo insediativo.
A partire dalla prima metà dell’Ottocento si determina sul suolo procidano una stagione di lavori urbani – come emerge da nuove acquisizioni documentarie – proprio in aderenza alle istanze di rinnovamento concepite a Napoli e in linea, nel contesto europeo, con le esigenze del progetto di una “città borghese”.
Le richieste della comunità procidana per il miglioramento della struttura urbana sono accolte, durante il regno di Ferdinando II di Borbone, con lavori di “abbellimento” che portano alla realizzazione di nuove infrastrutture, all’ammodernamento della rete stradale, al rifacimento della banchina portuale e alla costruzione di un nuovo Faro, alla definizione del Cimitero nella zona di Pozzovecchio, luogo di straordinario fascino e di singolare valenza paesaggistica. Ingegneri e architetti operanti nell’apparato tecnico-amministrativo della città di Napoli arrivano dalla terraferma a sovrintendere e dirigere questi lavori urbani; tra questi sono anche Pasquale Francesconi, Gaetano Fazzini, Camillo Ranieri, protagonisti di una stagione contrassegnata da un linguaggio classicista oltre che da nuove acquisizioni di tecniche edilizie.
Nello specchio della costruzione delle attrezzature sintomatiche della città borghese si realizzano anche ammodernamenti architettonici attuati nelle numerose chiese isolane, a testimonianza di una stratificazione che, in modo emblematico, si manifesta nell’antica e secolare abbazia di San Michele Arcangelo.
Tra Settecento e Ottocento si definisce pertanto una forma urbana che porta alla creazione di assi viari – intrapresi secondo una dorsale interna ramificata – dove le chiese costituiscono i punti di riferimento primari di un’aggregazione urbana già documentata nel Cinquecento, e a cui si aggiungono impianti sacri ristrutturati o costruiti ex-novo. Con tale assetto si giunge alle soglie dell’età contemporanea modificando luoghi e paesaggi.
Alla realtà contemporanea, con un naturale confronto con il passato, è dedicata la terza parte dello studio rivolta all’evidenza delle trasformazioni del paesaggio e degli ambienti urbani puntualmente documentate nel capitolo Ieri, oggi; tra i rilievi dei segni rientra anche l’analisi di preziosi frammenti come quelli descritti nelle pagine dedicate all’arte dei portali, parte di un’ampia riflessione su come la Storia tratteggiata, oggetto di questa ricerca può e deve trasformarsi in progetto contemporaneo – in chiusura del volume sono anche illustrati i programmi intrapresi dal Comune di Procida per un necessario e adeguato piano del colore – espressione di un’attenta conoscenza e di una consapevolezza nella corretta valorizzazione di un prezioso irripetibile paesaggio di natura e architettura.