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Procida: “Binario 21”, per non dimenticare

Di Giacomo Retaggio

PROCIDA – Mentre ti avvii, la sera del 27 gennaio 2017, lungo il viale della splendida chiesa di S. Margherita nuova per assistere alla rievocazione di uno dei più grandi drammi del secolo scorso, la Shoah per l’appunto, vieni quasi investito da un gruppo numeroso di ragazzi e ragazze allegri e vocianti: sono gli allievi della Scuola media di Procida “A. Capraro” che daranno luogo alla rappresentazione. Beata gioventù! Questi giovani sono capaci di trasformare in scherzi gioiosi anche gli avvenimenti più tristi. Un ragazzo grande e grosso (nettamente superiore alla sua età!) con uno scialle ebraico sulle spalle ti da una pacca sulla spalla e ti comunica festoso che lui rappresenta il Rabbino capo del ghetto di Varsavia. E tu ti chiedi: ma questi ragazzi cosa sanno dello sterminio degli Ebrei? Sono trascorsi oltre settanta anni da quei tempi tristi ed il tempo scorre veloce ed indifferente. Ben vengano queste manifestazioni affinché la memoria non vada perduta. La scuola in ciò ha un compito primario e vitale; i sacerdoti del sapere e della conoscenza sono gli insegnanti. E tu li vedi questi che si danno da fare, chiamano gli studenti, li redarguiscono, li guidano, danno gli ultimi avvertimenti prima della rappresentazione. Sono eroici nel loro comportamento, nel loro impegno affinché questi ragazzi sappiano e non dimentichino. Ha scritto Primo Levi “che se non è umanamente possibile comprendere la Shoah per lo meno non bisogna dimenticarla”. Dimenticare lo sterminio dei sei milioni di Ebrei equivale a far morire altre due, tre, quattro volte ciascuno di loro. Ti avvicini a certe lavagne su cui sono affissi disegni, poesie, brani di libri riguardanti l’argomento; su un foglio leggi una dichiarazione di una donna scampata alla morte nel lager che recita: “Dio mi ha salvata e continuo a vivere perché devo raccontare ciò che è stato”. E rifletti che, invece, Primo Levi, come altri milioni di deportati, si chiedeva: “Dove era Dio ad Auschwitz?” Ti rendi conto che a questo punto il discorso diventa complesso e controverso. Entri. La sala è gremita. Dopo un po’ entrano gli studenti dalla porta esterna: la folla dei deportati e nazisti con il fucile. I ragazzi sono seri e compunti; hanno perso il loro atteggiamento ridanciano; si sono calati nel ruolo. Iniziano a recitare brani di libri sulla Shoah, eseguono canti struggenti, carichi di malinconia e di pathos, danzano dietro un telo bianco e le loro immagini indistinte simboleggiano corpi bruciati e già dispersi nell’aria: ombre nel nulla della morte. Nella sala regna un silenzio assoluto. Su uno schermo in alto a destra della sala compare l’immagine di Mussolini nel famoso discorso del ’38, in piazza dell’unità a Trieste, in cui venivano annunciate le “leggi razziali”. Migliaia di cittadini italiani, uomini, donne, bambini, venivano di colpo emarginati dalla società civile e ridotti al rango di appartenenti ad una razza inferiore solo perché di religione ebraica. Una “folla oceanica” applaude calorosamente. Ti senti quasi in colpa per quegli applausi. “Italiani brava gente!? Sarà, ma non ci credi troppo! E rifletti che anche noi, gente italica, abbiamo le nostre colpe nella Shoah. In Italia non si è avuto un processo di Norimberga e molti di quelli di allora non hanno fatto i conti con il passato. Un urlo silenzioso ti sgorga dall’intimo verso questi ragazzi: “Meditate, meditate che questo è stato!” Lo sferragliare di un treno, quello in partenza dal famoso “Binario 21” dalla stazione di Milano, carico di Ebrei candidati alla morte, fa da colonna musicale allo spettacolo. E’ un rumore tremendo che ti colpisce dentro cui fanno seguito struggenti melodie ebraiche ed una stupenda “Casta diva”. In sala il silenzio è assoluto e l’emozione al culmine. Ti senti un groppo alla gola e ti viene spontaneo esclamare dentro di te: “Grazie, ragazzi! Grazie!”. Voi siete innocenti del dramma che si è consumato nei lager nazisti settanta anni fa, ma il vostro impegno ed il vostro entusiasmo hanno un valore di redenzione nei riguardi delle colpe di un’intera generazione che poteva salvare milioni di vite umane, ma non ha voluto o non ha potuto, soggiogata com’era da ideologie folli di morte. E grazie ancora (e soprattutto) agli insegnanti Loredana Scotto, Stefania Scotto, Marisa Scotto di Vettimo, Annalisa Barbato, Francesca Intartaglia e a tutti gli altri il cui nome ti sfugge, che con fatica e competenza hanno permesso la realizzazione di questo splendido spettacolo.

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2 commenti

  1. Egregio dott. Taliercio,con il vostro suggestivo commento
    (non a caso adopero il Voi) ci avete fatto rivivere antiche sensazioni, scomparse, seppellite, anche se
    per molti di noi non vissute in prima persona .
    Sono emozioni da non dimenticare, dolori tramandati
    dai propri cari che si ricordano di questo triste passato.
    Ogni struggente documento televisivo o cinematografico
    ci riporta dolorosamente a quelle rimembranze e,
    ci suggerisce pessimistiche previsioni poi che,
    l’essere umano non dimentica,
    ma ricopre ogni tormento d’un pietoso velo;
    per sopravvivere, poter continuare a sperare in miti e leggende .

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