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Editoriale di Anna Pizzo
Appena avuta la notizia da Peacereporter, ci siamo attaccati al telefono. Un algerino di quarantadue anni, trattenuto nel Centro di espulsione di Ponte Galeria a Roma, morto per arresto cardiocircolatorio dopo aver inutilmente chiesto aiuto. In prefettura non rispondeva nessuno. Non rispondeva neppure il direttore del Cie, Fabio Ciciliano, della Croce Rossa italiana, che ha la gestione del Centro. Quando ci ha richiamati, ha smentito le testimonianze e ha negato che l’algerino si fosse sentito male la sera prima. A suo dire, l’allarme era stato lanciato solo alle 9,30 di questa mattina e alle l’uomo 10,30 era già morto.
Era cocainomane e lo avevano spedito due giorni prima dal Cie di Modena a Ponte Galeria probabilmente perché è da Roma che si caricano sugli aerei gli espulsi. Questo il suo futuro. Ora non ce l’ha più. Abbiamo perfino telefonato ad alcuni trattenuti a Ponte Galeria. Verso mezzogiorno uno di loro ci ha riferito che l’algerino si era sentito male la sera prima, che in infermeria non gli era stato somministrato alcun farmaco: erano convinti che fingesse ed era stato riportato in cella. L’uomo ci ha anche chiesto di richiamarlo per ulteriori dettagli. Ma un’ora dopo a risponderci è stato un suo parente, anch’egli recluso: «Non sappiamo nulla, non confermiamo nulla – ha detto – Quel mio parente con cui avete parlato non ci sta con la testa», ha detto tutto d’un fiato. La sola differenza tra un trattenuto nel Cie e un carcerato, ci disse il garante dei detenuti del Lazio, è che a questi non viene tolto il cellulare. Ora sappiamo perché.