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Editoriale di Renato Di Nicola
Ricostruzione sociale
La ricostruzione fisica della città, perché parliamo di una città distrutta, indipendentemente dai numeri, sarà lunga; ma ancora di più lo sarà la ricostruzione sociale ed umana del tessuto cittadino.
Nelle emergenze ci sono sempre tempi immediati, tempi medi e lunghi: le socialità non si ricostruiscono in un attimo, il dolore non si affronta in un momento.
Oltre l’intervento immediato, che è fondamentale, il bisogno è quello di restituire fiducia e amore alle persone, obiettivo raggiungibile solo attraverso la partecipazione.
La cittadinanza colpita deve partecipare alla ricostruzione della città, e lo farà dicendo chiaramente che la città non può essere costruita con criteri antisismici a parole, e nei fatti crollare come è successo; dicendo che nessuna infiltrazione di tipo mafioso può entrare in alcun modo nella riedificazione dell’Aquila, come è accaduto da altre parti; dicendo che a ricostruire la città non possono essere le stesse persone che hanno costruito la distruzione. Non possono essere gli stessi.
Per rispetto del tanto dolore e dei tanti morti, le ditte che hanno costruito questi edifici [la costruzione dell’ospedale crollato risale al 2000] devono andare via dall’Aquila, non devono più presentarsi; che non presentino richieste di lavoro all’Aquila, perché altrimenti diventerebbe realmente assurdo. Questa è una destrutturazione sociale che è passata anche attraverso dati concreti e inconfutabili come l’aver ignorato e accusato chi aveva provato a dare un allarme; l’aver assistito al crollo di una città «antisismica».
Dopo la tragedia la prima cosa che ci siamo detti è stata questa: la ricostruzione sociale deve passare attraverso l’aiuto e la vicinanza, ma soprattutto, la partecipazione.
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