La denuncia del teologo José Maria Castillo in occasione del dibattito “Un Gesù gratis” tenutosi nella Sala Consiliare del Comune di Procida.
Seguito da un pubblico folto ed attento l’incontro-dibattito che si è tenuto lo scorso 6 e 7 marzo presso la sala consiliare “V. Parascandola” del Comune di Procida. “Un Gesù gratis” (Il progetto di Dio è che l’uomo sia felice) questo il titolo proposto dagli organizzatori dell’Associazione di Volontariato MAIA i quali, da tempo, si occupano di portare avanti progetti di assistenza agli anziani, ai minori a rischio sociale e persone diversamente abili, attraverso iniziative di animazione.
Nel recente passato, poi, l’Associazione ha promosso momenti di formazione per volontari, convegni riguardanti lo sviluppo sostenibile e la promozione umana con un costante impegno per la pace e l’ambiente; nonché nella divulgazione del commercio Equo e Solidale del consumo critico e della finanza. Ospite e relatore della due giorni di riflessioni il prof. José Maria Castillo, uno dei più prestigiosi teologi europei il cui valore è riconosciuto sia per l’attività accademica svolta nel campo dell’insegnamento universitario (già docente nella Facoltà di Teologia di Granada e professore invitato nell’Università Pontificia Gregoriana di Roma e di Comillas a Madrid), sia per la numerosa opera scientifica pubblicata in Spagna e all’esterno.
Per darvi il senso della personalità e del modo di vedere le cose del prof. Castillo riportiamo un suo pensiero, peraltro portato anche all’attenzione della platea presente in sala, sulla crisi economica globale (che ovviamente dal momento della sua pubblicazione ha destato non poche polemiche). “Diamo per assunto che è rischioso affermare che il papa, i cardinali e i vescovi, così come sono, non abbiano detto nulla riguardo un tema di cui il mondo intero parla con preoccupazione e angoscia. Senza dubbio il papa e i vescovi ne hanno parlato.
Ma il fatto è che l’opinione pubblica conosce perfettamente la posizione della gerarchia riguardo l’aborto, l’eutanasia, il divorzio, l’omosessualità, l’uso dei contraccettivi, la scelta dell’istruzione per i cittadini, ecc., mentre la gente non ha idea di ciò che pensino i vescovi rispetto alla crisi del sistema finanziario, la crisi delle banche, l’impennata dei prezzi, la disoccupazione, lo smaltimento dei rifiuti, la sete di potere che, secondo il Commissario degli Affari Economici della Unione Europea, Joaquìn Almunia, è alla radice di questa crisi, assai profonda, oscura e di estrema gravità. È vero che le questioni di ordine economico presuppongono conoscenze tecniche, che non sono alla portata di tutti, né tanto meno dei vescovi che si suppone abbiano ricevuto la necessaria formazione e preparazione ad informare, come pastori, i fedeli su ciò che devono pensare in relazione alle proprie scelte di vita e di coscienza. Siamo d’accordo sul fatto che siano gli economisti a parlare di economia.
Ma, se questo criterio è corretto, saranno i biologi a parlare di biologia. Perché allora i vescovi si esprimono con tanta sicurezza su questioni come le cellule staminali, il termine della vita, gli esperimenti scientifici su embrioni e sulla fecondazione in vitro, se la maggior parte dei prelati si intende di biologia meno di quanto non si intenda di economia? Sinceramente, temo che il silenzio dei vescovi sui temi economici non sia dovuto a semplice ignoranza, ma ad altre oscure motivazioni. Perché affermo questo? Pochi giorni fa, il presidente del Parlamento Europeo ha dichiarato senza giri di parole: «Non si possono dare 700.000 milioni (di dollari) alle banche e dimenticarsi dell’uomo».
Perché questa somma così grande di denaro viene riservata ai ricchi affinché si sentano più sicuri e tranquilli nella loro condizione privilegiata, mentre, come ben sappiamo, abbiamo ancora 800 milioni di esseri umani che vivono con meno di un dollaro al giorno, che quindi vivono in condizioni disumane con limitate prospettive di vita. Ebbene, lo scandalo è che i politici denunciano l’atrocità di una “economia canaglia” (Loretta Napoleoni), proprio quando coloro che si ritengono i rappresentanti ufficiali di Cristo in terra non alzano la voce contro una vergogna simile. È scontato che io non abbia le soluzioni necessarie per questa situazione critica che stiamo vivendo, e non sia preparato a fornirne di adeguate. L’unica cosa che posso (e devo) dire è che nella Chiesa abbondano i funzionari e scarseggiano i profeti. Ho l’impressione che, in questo momento, per uscire dal ginepraio in cui siamo finiti, ancor più importante della conoscenza degli economisti, sia l’audacia dei profeti, capaci di informare sull’origine della cupidigia che, come ho già detto, è alla radice del disastro che stiamo subendo.
Tutti sappiamo che la Chiesa denuncia l’ingiustizia. Il problema è che utilizza un linguaggio troppo generico, come quello del presidente Bush, quando auspica una giustizia duratura. Nessuno dubita delle buone intenzioni del papa. E neanche della sua grande personalità e del suo prestigio mondiale. Ma la questione è che il papa è il capo supremo di una istituzione presente nel mondo intero e si sforza di mantenere le migliori relazioni possibili con i responsabili dell’economia e della politica di ciascun paese. Ebbene, dal momento in cui la Chiesa ha adottato questo approccio, è impossibile per lei esercitare quella missione profetica a difesa dei poveri e delle persone maltrattate dalla vita e dai poteri di questo mondo.
Chiunque legga con attenzione i vangeli sa che Gesù, davanti alle autorità e ai ricchi del suo tempo, non si comportò mai come le gerarchie ecclesiastiche si stanno comportando oggi rispetto a questa economia canaglia che sta rovinando il mondo. È evidente che le preoccupazioni di Gesù erano molto diverse da quelle della Chiesa di oggi. Si deve verificare una catastrofe economica come quella che stiamo vivendo, perché ci rendiamo conto di quali siano i reali interessi degli “uomini della religione”.
Essi dovrebbero utilizzare il linguaggio della giustizia e della solidarietà, che è quello appropriato per i nostri tempi, ma non alzano la voce quando temono che gli interessi della religione possano essere messi in pericolo. Questo è quanto, la conclusione è chiara: l’istituzione religiosa è più preoccupata di assicurare la stabilità e il buon funzionamento della religione, che perdere la faccia (con tutto ciò che comporta) per coloro che se la passano peggio. E se questa è la conclusione logica, il risultato è evidente: i ricchi si sentono sicuri, i poveri rimangono immersi nella loro miseria, e la religione, con i suoi templi e i suoi funzionari, mantiene il suo corso, nonostante essa stia diventando ogni giorno più vecchia e senza forze.”
Fonte: Il Golfo