di Michele Romano
Nel conversare con un amico del mio borgo, docente della Scuola Primaria della Chiaiolella, viene fuori un quadro disarmante e sorprendente di bambini dai 6 ai 10 anni. In che cosa consiste questo stupore? Che un luogo apparentemente tranquillo e soporoso come il nostro quartiere rivela che all’alba dell’esistenza, questi virgulti hanno acquisito, come primo elemento formativo di base, espressioni ingiuriose, le così dette “parolacce”.
Il loro vissuto scolastico quotidiano si esplica tra una continua e incessante raffica di parolacce, di bestemmie, di pettegolezzi, in un oceano di turpiloquio, indistinto, tra maschi e femmine. Certamente, il degrado del comportamento, dei modi, del linguaggio, ha trovato le proprie radici nel forte indebolimento che, nella società italiana, ha assalito quelle istituzioni come la famiglia, la scuola, la chiesa, la politica, predisposte sia alla promozione strutturale della cultura sia ad indirizzare la disciplina sociale e relazionale delle persone. Il punto centrale da affrontare, per venire a capo della situazione, è duplice: l’approccio comunicativo, all’interno della casa, tra genitori e figli e, l’intreccio tra famiglia e scuola.
Nel primo caso, l’esternazione espressiva e bullista dei fanciulli denota una fragile e desolante spinta educativa dei fili conduttori del nucleo familiare. Il secondo è caratterizzato da una conflittualità sottile e perniciosa tra i docenti e la figura più presente nel talamo familiare (quella materna) dovuta alla tipologia degli uomini isolani, di lavoratori del mare sulle navi.
Il conflitto, ad onor del vero, è alimentato sempre di più dalla componente genitoriale, alla quale, sembra che non interessi, più di tanto, la formazione culturale dei propri figli quanto la “Promozione”, a prescindere dall’applicazione o meno allo studio. Parlar male degl’insegnanti, da notare, sempre quelli più bravi e motivati, contestarli nelle riunioni di classe è un’operazione che inizia dalle scuole elementari, quando i bambini devono imparare a socializzare e a contestualizzare, la visione del mondo in cui deve proiettare il comportamento e l’agire. Ciò comporta effetti devastanti sul loro divenire, disorientandoli, inducendoli a non fidarsi, smembrandoli in modo tale da condurli agli atteggiamenti sopra citati.
Questa fenomenologia pone il nostro territorio in sintonia con ciò che è diventata la prassi della società italiana, tanto da occupare gli ultimi posti nel mondo, per competenze letterarie e scientifiche e, ai primi posti per il linguaggio “dell’inciviltà”. I genitori, nell’ascoltare questi dati, provano fastidio e ringhiosità perché dicono che la cultura non porta ricchezza ai loro figli.
C’è un detto che dice: SAPERE E’ POTERE.
Che disastro ecologico ed etico!!!!!
Chiudo con un interrogativo: i gruppi di famiglia, che organizzano continuamente incontri sul territorio, di quali recinti familiari costruiscono gli “iter formativi”?
Oltre che scrivere l’evidenza tangibile della nostra società, Lei cosa fa per questi giovani…..e poi guarda anche vicino al tuo orticello dove la maleducazione è spesso la normalità.
Abbiamo vinto l’oscar con la Grande Bellezza come Italiani…..
come Procidani vinceremmo sicuramente quello del Fate come dico io , ma non fate quello che faccio io. Siamo un popolo di Farisei!!!!!
Meravigliarsi che ragazzini in simile tenera età dicano “le parolacce”? Non sia interpretata come una bestemmia la mia, se dicessi che al giorno d’oggi tale comportamento sia la conseguenza della loro “spersonalizzazione”.. Come può un genitore, sia pur fornito di sani principi morali, ritrovarsi un figlio educato, quando per intere giornate lo lasci in balia dei computer?. E poi la scuola? La scuola oggi potrà anche erudirli , ma difficilmente li potrà educare. Non ha né la capacità, né i mezzi. Sarebbe auspicabile, in una società perfetta, che i ragazzini non solo non bestemmiassero, ma nemmeno nell’intimo di loro stessi pensassero alla bestemmia.