Nella notte dell’otto novembre di questo orribile 2020, assediato da un Virus che sta lacerando il corpo e l’anima della nostra esistenza, abbiamo visto apparire una stellina polare con il messaggio di Rossella O’Hara: Domani sarà un altro giorno.
Infatti da un Grande Paese, come gli Stati Uniti che possiede una enorme influenza sul modus vivendi di una parte notevole della società contemporanea, compresa quella nostrana, da quattro anni, schiacciata dentro l’incubo di essere governata con i criteri di Disumanesimo crudele.
Per incanto abbiamo sentito dalla voce degli neo eletti Joe Biden e Kamala Harris espressioni come: Camminare insieme, non da nemici, in una diversità costruttiva, nella libertà, nella eguaglianza, nella fraternità, nel proficuo valore della scienza, della conoscenza, dell’umiltà di so di non sapere, accompagnate da un titolo accorato: Guarire e sperare.
Che, nel silenzio notturno, ci ha fatto gridare: Alleluia, Alleluia, Alleluia.
Ci ha colpito il concetto di guarigione. Perché? Al di là del Coronavirus, bisogna guarire dalla perdita di civiltà, dalla carenza di buone maniere. Infatti, ci troviamo davanti alla rottura di un equilibrio sociale, al crollo della tolleranza, del rispetto reciproco che permettono di vivere in pace dentro una società pluralista e complessa. D’altra parte cos’è la civiltà se non un profilo di costumi, di etichetta, di buona educazione che facilitano nelle interazioni, una reciprocità garbata di rispetto e considerazione.
La nostra epoca è caduta nella trappola del moralismo, alla base della quale esiste la radice di uno dei peggiori atti di scortesia: l’intolleranza che conduce ad alzare barricate intorno a concetti di identità nazionale, etnica, religiosa, ergendo muri, fili spinati, protettivi nei confronti degli altri.
C’è bisogno di una profonda pedagogia di servizio, partendo da un cortese e gentile colloquio con la propria coscienza e scoprire che perpetuare l’ostinata e aggressiva autoreferenzialità, diventa un’arma letale per la sopravvivenza delle comunità.
Cosi arriviamo al valore intrinseco della speranza che racchiude in sé coraggio, immaginazione tanto da spingere ad un atteggiamento sinergico di possibilità e sana aspirazione. Le persone si conoscono meglio attraverso la propria intensità di credenti della speranza che nell’osservare quanto hanno realizzato nella Vita.
Infatti la parte più alta dentro di noi risiede in ciò che speriamo di essere con le finestre del cuore e la mente, aperte verso l’universo. Ecco il guarire e lo sperare costituiscano la ripartenza del garbato e civile Umanesimo Samaritani.