Piazza Pulita

di Paola Zanca

Calma e sangue freddo. L’unica risposta al colpo di mano del centrodestra sono le regole, la legalità, è tirar fuori la parte responsabile del paese. La chiamata alle armi democratica è veloce, immediata, comincia già nella notte, subito dopo la firma del decreto. Il Popolo Viola è il primo a scendere in piazza: davanti al Parlamento, un cero e una lapide, a commemorare la “fu legalità”.
A ucciderla è stato il governo, non c’è dubbio. Ma anche a Napolitano che l’ha avallata i viola chiedono spiegazioni. “Presidente, non abbiamo capito”, recitano i cartelli nelle mani dei manifestanti. “Vogliamo chiedergli quali motivazioni lo hanno spinto a firmare un decreto di notte – dice il viola Gianfranco Mascia – Ci accusano spesso di tirarlo per la giacchetta. Stavolta l’impressione è che si sia fatto tirare lui”.
La cosa che più fa rabbia è la burocrazia con due pesi e due misure. Quella per i potenti e quella per i comuni mortali. “Quando mi arriva una bolletta, se sono in ritardo pago la mora” si lamenta una signora. “Voglio provare a salire in autobus senza biglietto e dire al controllore che il mio diritto a viaggiare prevale sulla forma”, aggiunge Serenetta Monti. “Riapriamo tutti gli appelli universitari – dice il professor Carlo Cosmelli – se illegalità dev’essere, che sia illegalità diffusa”.

Alle 16 il presidio si sposta al Pantheon, con tutti i partiti del centrosinistra. C’è Riccardo Milana, il senatore del Pd che sta coordinando la campagna elettorale di Emma Bonino. Come va? “Siamo sbigottiti, amareggiati, incazzati”. Con chi? “Con il governo, è quello il nostro nemico. Napolitano avrà avuto le sue ragioni, anche se molti di noi non le comprendono”. Per l’Italia dei Valori c’è il segretario regionale del Lazio, senatore pure lui, Stefano Pedica: è in sciopero della fame “per il ripristino della democrazia e della legalità”. Ma anche lui frena i pruriti. L’idea era quella di andare davanti al Quirinale con una delegazione per una sorta di “girotondo”. Ma alla fine si privilegia l’unità dell’opposizione. Il clima è troppo rovente per fare i bastian contrari e rischiare la rottura con gli alleati. In piazza, sul presidente della Repubblica, si sentono i giudizi più disparati: c’è chi lo insulta, chi crede che se ha deciso di firmare è per fissare “Il punto di caduta meno dannoso”, chi insinua che se lo ha fatto è perché anche qualcuno del Pd gli ha dato l’ok. E chi se non Massimo D’Alema? All’emblema dell’inciucio, la piazza riserva parole dure: “Vergogna, vai a casa, gliel’hai detto tu a Napolitano di firmare!”. Lui se ne va piuttosto in fretta, si ferma di più Dario Franceschini, anche se pure a lui qualcuno non le manda a dire.

La linea generale, comunque, è quella dettata da Emma Bonino: in piedi traballante su un tavoli-no di legno approntato alla bell’e meglio, invita ad avere “toni pacati, ma molto fermi e decisi”. “È un momento molto critico per la nostra democrazia : non è detto che se il centrodestra dovesse perdere, vorrà interpretare con un decreto anche i risultati elettorali”. Che fare? “Continuiamo a giocare con i bari?”, si chiede la Bonino. “Io non propongo sterili e perdenti aventini” – dice a proposito delle voci circa il ritiro della sua candidatura – Ma propongo una resistenza democratica. Mi si dirà che non è il momento, ma io dico: se non ora, quando? Quando si potrà dire basta?”. Di dire basta alla protesta, comunque, nessuno ne ha voglia. Oggi il Popolo Viola alle 15 sarà in Piazza Navona, mentre via Web si organizzano presidi in tutte le città italiane. Sit-in per tutta la settimana, fino al grande appuntamento nazionale di sabato 13 marzo, quando tutte le forze di centrosinistra si riuniranno in piazza del Popolo.

Avanti anche con la “mobilitazione nelle sedi giurisdizionali”, che, ha annunciato il segretario del Pd Pier Luigi Bersani, non si fermeranno a costo di arrivare “fino alla Corte costituzionale”. Si comincia lunedì, quando Luigi Nieri, candidato nel Lazio per Sinistra e Libertà, presenterà un ricorso al Tar “valutare l’incostituzionalità del decreto: mancano i requisiti di necessità e urgenza, e soprattutto i caratteri di generalità e astrattezza, visto che la norma riguarda solo due regioni”. Anche il presidente della provincia di Roma Nicola Zingaretti ha già in mano carta e penna: scriverà al prefetto e al ministro dell’Interno per chiedere l’annullamento delle elezioni tenute un anno fa in un comune romano, Monte Porzio Catone: si fecero con un solo candidato, quello del centrodestra. Lo sfidante venne escluso. Gli mancava un timbro sulle liste.

da il Fatto Quotidiano del 7 marzo

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