Diciamo se quarantatre vite non valgono nulla, potrebbe essere più appropriato, ovviamente senza nulla togliere all’interessante articolo che vi proponiamo tratto da blog di di Silvia Truzzi sul fatto quotidiano, ma a soffrire da oltre 7 e 5 mesi in Somalia nelle mani dei pirati non sono solo 11 cittadini italiani tra cui 4 procidani ma anche 17 indiani e 15 filippini. vite tutte degne di essere salvate, senza accusare la giornalista ma questa precisazione e’ doverosa.
Le cronache del Paese teneramente ribattezzato di merda dal proprio premier puzzano assai. Puzzano sempre più, in modi che nemmeno s’immaginavano. Mentre l’Italia affronta una crisi economica spaventosa, i nostri governanti (e pure l’opposizione) si occupano di una exit strategy per Berlusconi: monarchie e dittature si sono conservate così da che mondo è mondo. Lo dicano chiaramente tutti, da destra e da sinistra: per salvare un uomo, si lascia agonizzare un popolo intero.
Una storia, tra le molte di disinteresse e abbandono dell’Italia violentata, fa venire la pelle d’oca. È quella degli undici marinai italiani sequestrati al largo del Corno d’Africa e in balia dei pirati somali. È successo otto mesi fa: non otto giorni o otto settimane. Otto mesi di atroce prigionia per undici concittadini, di cui non frega nulla a nessuno. Quando si sono messi in contatto con le loro famiglie, hanno raccontato di violenze, sevizie, condizioni igieniche disumane. Tanto che i Radicali hanno presentato la scorsa settimana un’interrogazione in cui si chiede al governo di riferire al Parlamento. Nessuno ha risposto. Dalla Farnesina un portavoce del ministro Frattini ha confermato ieri al “Fatto” che con i pirati sono stati aperti altri canali “attraverso l’intelligence”. Nello stesso articolo, Roberta Zunini ha raccolto le testimonianze dei parenti di questi disgraziati. Ecco cosa racconta il padre dell’ufficiale Eugenio Bon: “Aveva la voce balbettante, fievole, irriconoscibile, interrotta da singhiozzi. Mio figlio è disperato, mi ha domandato perché ancora nessuno abbia pagato il riscatto chiesto dai pirati. Non sa quanti giorni ancora riuscirà a sopravvivere”.
Esasperata dall’inerzia e dall’indifferenza, la moglie del Comandante Vincenzo Lubrano ha fatto irruzione alla Farnesina. “Non mi bastava più vedere il sottosegretario agli Esteri Mantica, che ogni volta ci dice che partirà per una missione in Somalia. Ma poi non accade nulla. Qui sono le più alte cariche dello Stato a doversi muovere. Letta mi ha assicurato di impegnarsi. Lo spero perché all’Unità di crisi della Farnesina continuano a dirci che loro non trattano con i pirati e hanno aperto altri canali. Il nostro governo non fa pressione. Mi chiedo perché il ministro Frattini non sia mai andato a parlare con il nuovo primo ministro, perché non c’è andato Berlusconi. Ne va anche dell’immagine dell’Italia”.
Purtroppo per i parenti dei rapiti l’immagine del Paese è completamente sputtanata, e nemmeno in senso metaforico. Difficile pensare di appellarsi a quella, come al senso di responsabilità di ministri e sottosegretari. Frattini mercoledì incontrerà all’Assemblea generale dell’Onu, il primo ministro somalo: in un momento libero dai numerosi impegni istituzionali, il “premier a tempo perso” può trovare qualche minuto per istruire il ministro degli Esteri. C’è un riscatto da pagare: abbiamo, e ci sono le prove, un presidente del Consiglio facoltoso quanto generoso. Una sera, parlando del caso Ruby, il ministro Mariastella Gelmini disse a “Porta a Porta” che Berlusconi fa moltissima beneficenza e che nei viaggi aerei Roma-Milano non fa altro che staccare assegni per i bisognosi. Naturalmente gli italiani non hanno più voglia di farsi prendere in giro. A tutti basterebbe che chi è al governo governasse. Soprattutto se c’è in gioco la vita di undici persone: la Farnesina faccia tutto quello che può per liberarli, in caso contrario qualcuno li avrà sulla coscienza.
Il Fatto Quotidiano, 18 settembre 2001