Nel 2005 i campioni della pedata sostenevano la liberazione della giornalista. Auspicabile un’iniziativa simile per i marittimi italiani

Salvatore Iovine
Mancano solo 48 ore al “teorico” calcio di inizio del campionato più bello del mondo e nonostante sette mesi di torture psichiche, stenti, fame e siccità, nessun calciatore della massima serie, ha la consapevolezza della lenta e inenarrabile agonia di cui sono protagonisti ben 5 italiani di cui due procidani.
In una epoca in cui ogni discreto calciatore viene commercializzato per cifre grosso modo simili a quanto richiedono i Sandokan del 21° secolo per spezzare le catene dell’equipaggio della Savina Caylyn, sembra davvero inaccettabile che dopo oltre 200 giorni di girone dantesco, la Lega Calcio non si sia posto un problema umanitario di siffatte proporzioni. Ma in un Paese che fa della dimenticanza una degli sport più amati di tutti, l’aspetto che più addolora e annichilisce è l’incredibile, impari e sproporzionato trattamento rispetto alla sventurata giornalista de Il Manifesto, Giuliana Sgrena.
E’’ davvero micidiale per gli occhi rivedere oggi le foto relative alle bandiere storiche dei migliori club italiani, come Totti, Del Piero e Maldini, mentre scendevano in campo, mettendoci la faccia, per invocare la liberazione della corrispondente da Baghdad, il cui incubo durò meno di un mese.
Rivedere a distanza di 6 anni quelle immagini è davvero lacerante e avvilente per tutti, non solo per le disperate ed esauste famiglie.
Chi può intervenga subito, immediatamente, prima che sia troppo tardi, prima di eventuali conseguenze irreparabili. Gli strateghi della Farnesina e della Difesa a tutt’oggi si sono macchiati di “un silenzio che uccide” lentamente, durato ben sette mesi.
Rimorsi e sensi di colpa li rincorrerebbero per sempre.
Agli IRRESPONSABILI RESPONSABILI, eventuali vittime, non darebbero più pace per il resto dei loro giorni.
SALVATORE IOVINE