Il mese di giugno è un mese particolare: per lo meno a me così sembrava un tempo, quando ero giovane. Era il mese degli esami, degli scrutini, delle prime comunioni, di Sant’Antonio, del Corpus Domini e dei Santi Pietro e Paolo. Si può dire che oggi è quasi tutto finito. Resistono le ombre delle ricorrenze di un tempo, ma non c’è più la sacralità, la dedizione ed il fascino degli anni passati. Sant’Antonio era festa grande: il Santo faceva tredici grazie; tutto era impiantato sul numero tredici, anche la ricorrenza della festività. Nelle famiglie i vari Antonio si sentivano importanti. Tutto, per lo meno, quel giorno, girava intorno a loro. Il festeggiato si vestiva a festa e andava a messa; si tratteneva sul sagrato della chiesa e riceveva gli auguri. Era un rito e la gente ci teneva molto. Ma la festa di S’Antonio aveva tutta una ritualità particolare; c’era il fenomeno delle “vendite”. Davanti al sagrato della chiesa i “masti di festa” erigevano un palco su cui venivano esposti regali da vendere per raggranellare soldi. Veniva chiamato “Lunardo Cacciatore” che con la sua voce potente, senza nessuna amplificazione, reclamizzava la merce da vendere. “Ciento lire è uno” “Ciento lire è ddoie”. “Ciento lire è tre!” e la merce veniva aggiudicata. Era uno spasso incredibile! A volte veniva venduta una torta o un bottiglione di vino o qualche altro oggetto semplice e di poco prezzo. Nessuno pensava di fare l’affare; tutti erano convinti che bisognava raggranellare quanti più soldi possibile per la festa del “Santo”. Subito dopo la festa del Santo di Padova, pochi giorni di spacco, ed ecco la Ricorrenza del Corpus Domini. Questa era veramente una festa grande. Era ricca. nei colori, nei paramenti, negli odori d’incenso, nei profumi dei fiori sparsi a chili nell’ambiente, nelle botte assordanti sparate dietro i vicoli, dietro le cantine, in mezzo ai campi gravidi di fiori e di frutta. Era la festa dell’entrata dell’estate. Ma la processione era bellissima! Decine e decine di preti vestiti con le pianete più ricche sfilavano compunti, ai due lati della strada. Le note del “Pange lingua” E del “Tantum ergo! riempivano l’aria e conferivano un’aria mistica e sacrale all’ambiente. Alla fine, in fondo, sotto il palio dai ricami d’oro, compariva il piccolo curato De Rubertis, che camminava a fatica, sorretto da due preti più giovani. La gente, ammassata ai lati delle strade, pregava e apprezzava lo sforzo che questo piccolo prete faceva nel portare Cristo nell’ostensorio. Spesso vicino ai portoni più importanti si preparavano degli altarini: la processione si fermava ed il curato innalzava il Santissimo e benediva. Alla Madonna della Libera, agli inizi di via Regina Elena. si preparava l’altare. Era qualcosa di mastodontico che interrompeva tutto il tragitto stradale, lasciando dolo un piccolo passaggio ai lati. Era uno dei “quattro altari” più prestigiosi. Un anno successe qualcosa che nessuno aveva previsto. Erano da poco sbarcati a Procida gli Americani; si era nel ?43; un camion pieno di soldati americani arrivò al “pontone” e non potè più andare avanti per la presenza dell’altare. Dovevano andare sul Cottimo dove c’erano le basi dei cannoni. Io ero presente alla scena: con una santa pazienza, scaricarono tutta la mercanzia, si misero la strada sotto e proseguirono a piedi fino alla punta. Allora ero piccolo, ma spesso negli anni successivi, mi chiesi cosa avessero pensato gli Americani di noi di fronte a quel trofeo che bloccava la strada. Certamente avranno pensato: E come questi non hanno da mangiare e pensano a fare le feste! O forse non hanno pensato proprio niente. Una cosa, però è certa: A Procida le feste, nonostante tutto, si sono sempre fatte! Giugno si chiudeva con i Santi Pietro e Paolo. Era festa di precetto! Mi obbligavano ad andare a Messa con giacca e cravatta. Il caldo si faceva sentire e tornavo a casa zuppo di sudore. Ma chi si azzardava a protestare o dire qualcosa! Più di questo aveva sofferto nostro Signore in croce e quindi mi stessi zitto!
