Prima che la tecnologia inventasse la motozappa, i terreni erano arati con la zappa a mano. I “furbi” (che non mancano mai in tutti gli ambienti) zappatori incapaci, o poco volenterosi, anziché dare il colpo di zappa “pesante” in profondità, (come si conviene) toglievano l’erba che affiorava e la sotterravano a pochi centimetri questo metodo era detto dai contadini procidani, “Cappotto”.
I più furbi usavano tutt’altro sistema; passavano al fianco della linea già arata, da altri, e speravano di far credere, che era opera di lavoro suo. (Non sempre gli andava bene)
Questo modo di lavoro era detto: “A zappato sul zappato”.
Questo fa parte anche della pessima abitudine dell’umano quotidiano, pur di apparire, nasconde l’erba (verità) sotto al terreno senza zappare. Non pensate che questi fatti avvenissero una volta, e solo in campagna.
Nun è ne a zappa e ne a cucozza, è a semment che fa a razza. ( la colpa non è della zappa, neanche della zucca che non è buona, è il seme che produce la razza).
Erano in tre e si doveva eseguire un lavoro; il più forte decise che avrebbe diretto le varie fasi dell’esecuzione, il più furbo disse che avrebbe controllato il buon esito dell’operazione e al più debole non rimase altro che iniziare.
Ciò che reclamo è vivere la piena contraddizione del mio tempo, che mai così bene ha reso al sarcasmo la condizione della verità.
(Roland Barthes)
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