di Tobia Costagliola da DLNEWS
Non credo di essere un caso unico o raro ma posso dire con certezza che, ogni qualvolta mi sono accinto a concentrarmi nei miei pensieri, fin dalla prima età, c’è stata una presenza sempre viva, sia come luogo fisico in cui si sviluppava la mia fantasia, sia come soggetto prevalente delle mie stesse elucubrazioni: il mare con tutto quanto vive e ruota intorno e dentro ad esso.
Per noi isolani di Procida, questa presenza è molto viva e tangibile fin dalla nascita: ti giri a destra e a manca e lo trovi sempre lì, tutt’intorno. Da bambino lo percepisci come una protezione che cinge la tua isola con i flutti spumeggianti o con le placide onde illuminate da albe radiose o fantasmagorici tramonti.
Crescendo, però, incomincia a “starti stretto” e lo vedi come un ostacolo che si frappone fra l’isola e le sponde del mondo. E più tardi ancora, ti rendi conto che quell’ostacolo è solo apparente e rappresenta, invece, l’unica via verso la libertà e verso il mondo. L’unica via per realizzare i sogni che avevi coltivato da ragazzo e per raggiungere mete lontane che spesso la realtà e la ragione ti dimostrano essere non sempre raggiungibili. E, così, si parte, dando un ultimo sguardo oltre la scia che il traghetto lascia nel suo veloce procedere, dove i punti “cospicui” della tua isola (il castello aragonese o il faro di Pioppeto) vanno lentamente scomparendo. E da quel momento non guardi più indietro ma, sempre avanti, facendo l’ingresso in quel mondo frenetico e tumultuoso in cui dovrai affrontare lotte e sacrifici d’ogni genere per affermare la tua presenza, per assumere il ruolo che saprai conquistarti e inserirti, anche tu, in quel percorso senza ritorno che, tra gioie e dolori, rappresenta la grande ed entusiasmante “avventura della vita”.
E ogni qualvolta ritorni nell’isola, temprato dal lavoro, fortificato dalle esperienze e sempre più affaticato, ma “maturo”, cominci a guardare quei luoghi che hai lasciato con occhi diversi e ti abbandoni nell’oblio fino a quando non ti risvegli, pronto ad affrontare un’altra “campagna”. Magari cominciando a pensare in modo diverso e facendo altri sogni per un futuro sempre diverso dal presente. Così, tra un imbarco e l’altro oppure, dopo aver posto le radici in altro locco, ritenendolo più conveniente o non avendo altre alternative, passano gli anni, il mondo cambia e tu ricominci a sognare – non bisogna mai smettere di sognare- di ritornare nella tua isola che un tempo ti stava troppo stretta.
Questi andirivieni, questo sognare e risognare, con tutto il tempo che occupano, costituiscono il percorso della nostra Vita, di mare o di terra che sia, che vale sempre la pena aver vissuto tra tante “campagne”, tanti viaggi o come un unico viaggio in preparazione del nostro “vero” grande viaggio. Un viaggio “certo” e “sicuro” a cui nessuno potrà sottrarsi. E’ l’ultimo viaggio della nostra vita la cui destinazione è stata ed è la forza motrice della Storia: la vita dopo la morte. Una destinazione ed un viaggio a cui penso spesso con ansia, apprensione, curiosità ed impazienza.
Impazienza superiore a quella che avevo da bambino e poi da ragazzo, senza sapere quello a cui andavo incontro, con tanta incoscienza. Si tratta di una impazienza tutta isolana indotta dal bisogno di conoscenza, dal bisogno di “salpare la prora” e …andare…verso la grande “incognita” della vita.
Credo, tuttavia, a maggior conforto dei “non isolani” che, in realtà, siamo tutti isolani “ansiosi” che, nella giusta età decidiamo di “salpare” verso il “mondo” vogliosi di realizzare i nostri sogni e le nostre aspirazioni.
Ora, alla mia età, non tiro i remi in barca e mi piace ancora remare anche se il viaggio è quasi terminato. Vorrei giungere sulla sponda velocemente e con tanto abbrivio perché sono certo che quest’ultima sponda è l’arrivo nell’eternità: sono impaziente di conoscere questo nuovo e tanto sospirato, fantastico mondo. E’ da una vita che sono in viaggio per raggiungerlo…