di Savina Dolores Massa (Ana La Balena)
È una sera, le sei, della sera, di un settembre di tuoni e campane. Trascorse le sei, mute le campane, restano i tuoni e settembre. A breve sparirà anche la sera mutandosi in notte. Dei tuoni non so. Nessuna pioggia. Forse non erano tuoni. E allora cos’è questo battere lontano, continuo, ruggito, dal sud… che cos’è. Sono loro. I tamburi dell’Africa, richiamo per sordi, per ciechi, per monchi di mano: quella che sa donare senza pentirsi del gesto.
Stavolta non si aspetta, stavolta si pretende il contributo alla povertà, in denaro, non in preghiere. In denaro, non in cartoni di pasta scaduta e vestiti dismessi. In denaro per restituire uomini rubati. Sette mesi, non lo dimentichi nessuno questo lasso di tempo in cui ciascuno di noi ha giocato, riso, baciato, dormito, mangiato, lavorato, passeggiato. Denaro, che basti a far tornare a casa 22 creature al sapore di salsedine e terrore. Denaro, che non basterà a restituire la trasparenza alle acque di Somalia, imbrattate dalle nostre scorie vomitate dai passaggi delle petroliere. Li abbiamo sempre offesi, questi nativi africani, noi, i conquistatori anemici di pelle e di gratitudine verso il Creato. Noi incapaci ad accontentarci, e ora, ora ci si chiede di pagare un conto, una miseria di conto rispetto al valore di ciò che per primi abbiamo insegnato loro: l’assenza del rispetto. Di che cosa ci dobbiamo lamentare, quali giudizi possiamo permetterci? Siamo in colpa e dovremmo solamente tacere. Una sola parola ci dovrebbe essere concesso di pronunciare, adesso che “i pirati” ci hanno rubato “il nostro”. Una parola della quale in tanti hanno scordato il significato profondo. La parola “Perdono”. La frase “Vi chiediamo scusa”. C’è da biasimarli, ora, questi ragazzini somali che gingillano tra le mani ciò che le nostre industrie delle armi gli hanno venduto? Non si accontenteranno delle scuse. No, perché oramai hanno perduto l’umano senso del comportamento, dove la fiducia dovrebbe regnare regina. I ragazzini con il mitra in mano hanno fame e nessun futuro davanti, si sono incattiviti, ci odiano, sanno che se il denaro è tanto importante per noi, deve esserlo anche per loro.
È chi ha visto molte stelle d’Africa, a suonare i tamburi, affinché l’armonia possa ritornare nelle azioni dei più giovani. Ma i giovani hanno perduto la pazienza, sono sfiniti dall’arido sperare. Chi ha visto molte stelle ci prova, ma sa anche lui di suonare solamente una nostalgia. Il canto di questa nostalgia è giunta a me, qui, oggi, sera, settembre, campane. Sento che è giunta anche a Trieste, a Piano di Sorrento, a Gaeta, a Procida. Alle sei della sera chi ha visto molte stelle d’Italia ha preso i tamburi. Ha battuto i palmi delle proprie mani sdrucite su pelli, tese, consunte e intonate.
Melodie affaticate si sono incontrate, abbracciate nella metà esatta del percorso tra Mar di Somalia e Mediterraneo. Ciò che un’orchestra di mani che hanno veduto molte stelle sa fare in pochi lo sanno ascoltare. Forse le murene, forse i pesci azzurri, forse le sure.
Sembravano tuoni, i consigli.
Savina Dolores Massa
(La Savina Caylyn, petroliera bandiera italiana, è sequestrata in Somalia dall’8 febbraio 2011. Il 7 settembre Manifestazione a Roma, ore 9.30 del mattino, di fronte a Montecitorio)