di Giuseppe Ambrosino di Bruttopilo (Pauliello)
Ogni anno nella preparazione del presepio, oltre ai pastori, ai re magi e alla stella cometa era naturale, quasi indispensabile porre accanto alla mangiatoia dove era adagiato Gesù Bambino, un bue e un asinello. Si diceva che il bue e l’asinello rappresentassero l’umiltà e la potenza. Certamente entrambi rappresentavano la semplicità di una stalla, che voleva significare la povertà del luogo di nascita del Signore.
Il nonno diceva che i due animali erano importanti perché con il loro alito avessero riscaldato l’ ignudo bambinello deposto sulla semplice paglia.
I vangeli non hanno mai parlato né del bue né dell’asinello. Soltanto un falso vangelo di Matteo parlava di tale presenza. Ma visto che se ne parla da sempre, la presenza del bue e dell’asinello nel presepio è diventata irrinunciabile. Ora il papa Benedetto XVI ha scritto un libro sulla nascita di Gesù e ha detto chiaro e tondo che il bue e l’asinello non erano per niente presenti nella stalla della natività. Con tutto il rispetto per il Papa, che ha studiato teologia e certamente conosce meglio di noi le sacre scritture, e poi è infallibile, noi continueremo a mettere nel presepio il bue e l’asinello, soltanto per una semplice tradizione.
Ricordo un episodio della mia infanzia. Io vivevo in compagna, i miei erano contadini, e nelle stalle avevamo sia il bue che l’asinello. Di buoi ne avevamo addirittura quattro. Li allevavamo per il macello. L’asino invece era uno solo, e a lui erano riservati i lavori più pesanti della campagna. Era una bell’asina di razza scura, grande quasi come un cavallo. Sulla groppa ad interrompere il suo manto scuro aveva una croce bianca. Io pensavo che quella croce fosse una caratteristica soltanto della nostra asina, invece il nonno mi raccontava che tutti gli asini avessero quella croce bianca in ricordo dell’asino che aveva riscaldato la stalla di Gesù Bambino.
Allora cosa pensammo io ed un mio amico. Pensammo di improvvisare un presepio vivente sfruttando la stalla dei buoi. In quei giorni il nonno aveva isolato uno di essi in una stalla singola, per destinarlo alla monta della mucca. L’idea geniale era portare l’asina in quella stalla e così i due animali avrebbero atteso la nascita del bambinello. Slegammo l’asina e povera bestia con santa pazienza ci seguì fino alla stalla del bue. Noi abituati alla mansuetudine degli altri buoi, lontanamente avremmo immaginato la furia di quel bestione che ruminava lentamente nella sua stalla, sognando una bella mucca. Noi mica potevamo indovinare le sue fantasie.
Il bue alla vista dell’asina, forse si “ombrò”, forse la scambiò per la vacca, all’improvviso diventò un toro scatenato.! Si impennò sulle due zampe posteriori, cominciò a sbuffare dalle narici, e con poche strattonate spezzò la catena che gli avvolgeva le corna e una volta libero, per lui fu un gioco sfondare la fragile porta di legno e mettersi a rincorrere l’asina, che poveretta, scalciava e fuggiva senza chiedersi il perché quel bestione la rincorresse. Io e il mio amico, alla vista di quel parapiglia, come due incoscienti, scappammo nella direzione opposta. Il nonno dovette sudare le proverbiali sette camicie per riacciuffare le due bestie. Noi quella sera passammo un brutto Natale. Oggi ricordando quel Natale mi viene da ridere. Alla luce di quello che ha scritto il Papa nel suo ultimo libro, noi certamente non avremmo fatto quella sciocchezza di mettere assieme il bue e l’asinello, ma oggi avremmo perso l’occasione di ricordare con grande nostalgia quell’indimenticabile Natale della nostra giovinezza.