Quattordicecesimo appuntamento con la rubrica dedicata ai commenti al vangelo. Ascoltiamo il commento di questa domenica 5 novembre 2010 attraverso il video di p. Alberto Maggi (trascrizione da scricare) e una riflessione di Don Aldo Antonelli
In tempi in cui impera una subdola ma diabolica strategia tesa a assottigliare al massimo lo spessore delle attese umane, sì da cancellare ogni futuro mutilando perfino il presente, a noi spetta il compito, assieme a tutti gli uomini e le donne di buona volontà, di svegliare l’aurora e aprire il presente all’impossibile.
Don Aldo Antonelli
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II DOMENICA AVVENTO – 5 dicembre 2010
CONVERTITEVI: IL REGNO DEI CIELI E’ VICINO – Commento al Vangelo di p. Alberto Maggi OSM
Mt 3,1-12
In quei giorni, venne Giovanni il Battista e predicava nel deserto della Giudea dicendo: «Convertitevi, perché il regno dei cieli è vicino!». Egli infatti è colui del quale aveva parlato il profeta Isaìa quando disse: «Voce di uno che grida nel deserto: Preparate la via del Signore, raddrizzate i suoi sentieri!».
E lui, Giovanni, portava un vestito di peli di cammello e una cintura di pelle attorno ai fianchi; il suo cibo erano cavallette e miele selvatico. Allora Gerusalemme, tutta la Giudea e tutta la zona lungo il Giordano accorrevano a lui e si facevano battezzare da lui nel fiume Giordano, confessando i loro peccati. Vedendo molti farisei e sadducei venire al suo battesimo, disse loro: «Razza di vipere! Chi vi ha fatto credere di poter sfuggire all’ira imminente? Fate dunque un frutto degno della conversione, e non crediate di poter dire dentro di voi: “Abbiamo Abramo per padre!”. Perché io vi dico che da queste pietre Dio può suscitare figli ad Abramo. Già la scure è posta alla radice degli alberi; perciò ogni albero che non dà buon frutto viene tagliato e gettato nel
fuoco. Io vi battezzo nell’acqua per la conversione; ma colui che viene dopo di me è più forte di me e io non sono degno di portargli i sandali; egli vi battezzerà in Spirito Santo e fuoco.
Tiene in mano la pala e pulirà la sua aia e raccoglierà il suo frumento nel granaio, ma brucerà la paglia con un fuoco inestinguibile».
L’IMPAZIENTE OPEROSA ATTESA
Mt 3,1-12
Con i piedi affossati in questo letamaio di inizio terzo millennio, inceppati in un’impasse generale senza via di scampo, teniamo lo sguardo teso verso il Futuro Promesso, verso quel Regno a venire che l’Avvento ci dischiude e di cui la Fede è solo pegno.
I verbi al futuro del profeta Isaia non sono esercitazione di distrazione ma scommessa di tensione su cui ogni credente dovrebbe giocarsi: “Un germoglio spunterà…; un virgulto germoglierà…; su di lui si poserà lo spirito…; non giudicherà secondo le apparenze e non prenderà decisioni per sentito dire; … ma prenderà decisioni eque per gli umili della terra” (Is. 11,1 ss.).
Qui ci viene prospettato un futuro che non è nel segno della continuità e dello “sviluppo”, bensì nel segno della rottura e della rivoluzione, contro ogni falsa e avvolgente “apparenza” e contro ogni “buon senso” del “sentito dire”. Di più. La speranza che ne viene è una speranza di parte, legata a “decisioni eque per gli umili della terra”.
Gustavo Esteva, allievo di Illich, studioso delle popolazioni indigene, intervenendo al ‘Festival de la digna rabia”, organizzato dall’Esercito zapatista di liberazione nazionale in Chapas all’inizio del 2009, definiva la speranza “quella ribellione che rifiuta il conformismo e la sconfitta, una speranza che si chiama anche dignità, una patria senza nazionalità, un arcobaleno che è anche un ponte, il mormorio del cuore, la ribelle irriverenza che si prende gioco di frontiere, dogane e guerre”!
Una speranza che sia di parte e che sia ribellione si evince anche dalle parole di Paolo: “Noi che siamo i forti, abbiamo il dovere di portare le infermità dei deboli” (Rm.15,1) e di Giovanni: “Razza di vipere! Chi vi ha fatto credere di poter sfuggire…?” (Mt.3,7).
Insomma il messaggio di questa seconda domenica di avvento non lascia spazio all’equivoco dei cristiani bipartisan, della speranza consolatoria dei benpensanti, della neutralità paciona dei gerarchi. La parola “speranza”, che, come la parola “pace”, anche nella predicazione religiosa, è servita in passato a legittimare disordini, gerarchie e dipendenze, oggi si coniuga con la responsabilità partigiana che lega la giustizia alle sorti degli umili, salda la forza alle infermità dei deboli e introduce il sospetto nelle sicumere degli osservanti.
Cosicché i veri figli di Abramo sono figli di questo futuro inedito protesi in avanti, più che ripiegati indietro a difendere il loro passato La loro identità è tutta ancora d scrivere; una identità, per dirla ne termini di Brunetto Salvarani, ch “non è nel soggetto, come si teorizza generalmente, bensì nella relazione nel rapporto”, nella dimensione io tu, presente-futuro.
La figura del cristiano chiuso in se stesso, tutto intento a difender gelosamente il proprio bagaglio di acquisizioni e il proprio recinto di frequentazioni, viene sostituito dall’immagine della sentinella che veglia (altro tema ricorrente nella liturgia dell’avvento) e scruta l’orizzonte, pronto e libero, come Abramo appunto, a lasciare la propria patria per una terra sconosciuta . Abbandonati al vento dello Spirito che “ubi vult spirat” e che no: sappiamo da dove viene né dove va finalmente affrancati dalla fredda ragione calcolante, fondamento di ogni razzismo e di ogni imperiale politica di dominio.
In una vignetta di Schultz, il celeberrimo Snoopy, seduto sul tetto della sua cuccia, dice: “Nessun grande ricordo eguaglia la più picco la speranza”. Dopo un breve silenzi commenta: “Questa mi piace”… me più che piacere, intriga.
In tempi in cui impera una subdola ma diabolica strategia tesa a assottigliare al massimo lo spessore delle attese umane, sì da cancellare ogni futuro mutilando perfino il presente, a noi spetta il compito, assieme a tutti gli uomini e le donne di buona volontà, di svegliare l’aurora e aprire il presente all’impossibile.
Don Aldo Antonelli