Partendo dal presupposto che la società contemporanea tende a ridurre ad un fatto marginale la funzione della filosofia nella vita dell’uomo, le mie considerazioni vogliono essere un tentativo di rivendicare il senso della filosofia nell’itinerario umano in cui per nessuna cosa al mondo può mettere da parte ciò che costituisce l’aspetto peculiare della persona umana: il pensare e il sentire.
Per rivendicare il significato della filosofia, ritengo esemplare ritornare alla figura di Socrate, il cui esempio indica in maniera eloquente che la filosofia non viene da essere un libro, una disciplina, ma semplice scrittura, che sta ad indicare un carattere di vita, un’esperienza. Ciò viene a significare che la filosofia non racchiude in sé gli aspetti di una dottrina, ma l’interpretazione di uno stile in atto e la descrizione di un atteggiamento rivolto al mondo e a noi stessi.
Seguendo questa indicazione, l’uomo filosofo, se è davvero tale, nella sua condotta pratica, non può specchiarsi in una raffinata tradizione “letteraria” di parola e di scuola. In tal senso il filosofo partecipa intensamente alla vita politica e sociale e allo stesso tempo se ne distanzia in modo critico.
Questa peculiarità di essere deriva dal fatto che la parola del filosofo possiede valore non per la pretesa di sviluppare e creare un sistema ideologico ben strutturato, ma perché riesce ad esprimere quello strato sempre inespresso ed essenziale dell’esperienza che unisce l’uomo, al mondo agli altri uomini in un comune destino di verità.
Così la parola del filosofo viene ad essere la coscienza vigile della vita che si trova in tutti e che in tutti tende a conquistare l’esperienza adeguata.
Possiamo ben dire che il verbo filosofico, al contrario di una considerazione banale che lo ritiene lontano, distaccato, astratto, ostico per la comprensione media e comune, diviene in realtà il più concreto e alla mano cioè aspirazione silenziosa che vive nell’esperienza di tutti e che è cercata e detta per tutti.