https://www.ilprocidano.it/wp-content/uploads/2013/10/catene.jpgdi Michele Romano
Attraversando il cammino delle vicende umane, sociali e politiche del nostro Paese, sia nei piccoli centri come la mia terra natia, l’isola di Procida, che nei grandi agglomerati urbani, si prova la netta sensazione, in questi momenti di acuta crisi, di vivere quotidianamente, in un clima torbido, un sogno schizofrenico, violento, dove, giorno dopo giorno, si assiste alla eclissi della ragione, del pensiero, alla rottura della radice filosofica incarnata nella dimensione armonica di cuore e mente. Tale lacerazione sta conducendo alla disgregazione dei valori e della sfera personale dove, nella quotidianità, cresce l’insidia di vedere ridurre gli esseri umani a non persone, a rendere individui delle scartine sotto il peso dei fondamentalismi, della negazione dei diritti fondamentali, della costante aggressione sulle donne e su qualsiasi tipologia di diversità. Così la dignità e la libera espressione sono completamente soggiogate da una logica economica diventata legge di natura, imperniata sul perenne tragico rapporto Caino-Abele. In tal senso l’attuale quadro politico della società italiana, dal suo capofila Berlusconi a tutti gli altri, ne costituisce l’adeguata rappresentazione. Questo “modus vivendi” si percepisce anche all’interno di piccoli centri come Procida dove la quotidianità, tranne pochi momenti di vitalità, è vissuta dentro una coltre di nebbia della coscienza in cui le relazioni umane sono guidate dai vizi capitali dell’odio, della superbia, dell’ira, dell’invidia e, in alcuni tratti, dall’accidia con le conseguenze di far naufragare ogni stimolo a comprendere, a ricercare e individuare il senso, o il non senso, che caratterizza la speranza, la socialità di ogni comunità degna di questo nome. Tale andamento, a chi come me ha costruito la propria esistenza sul fatto che la filosofia rappresenta le radice dell’immensa pianta del sapere, segna amaramente l’inutilità del sentire filosofico che, viceversa, è un esercitarsi a pensare con il mettere in campo l’intelletto e la curiosità, ad esaminare, passo dopo passo, ogni elemento della vita, provando sempre stupore e meraviglia davanti a ciò che percepiamo e sperimentiamo. Per di più, il suo emblema viene ad essere la caparbietà di interpretare, nel profondo, il nostro vivere e tutto ciò che offre un significato e un senso compiuto alla nostra azione, mantenendo vivo il dubbio di non dare scontato alcun che. Allora cosa accade? Che la realtà circostante, dai piani più alti del potere a quelli intermedi fino alla diceria popolare: la filosofia è quella cosa con la quale e senza la quale si resta indifferente perché la vita si costruisce sul fare, il produrre, l’accumulare.
Concludo con le parole del grande scrittore francese Albert Camus il quale dice che soltanto ciò che è inutile e senza scopo recondito, come possono essere la filosofia, la poesia e l’arte che permettono di liberarsi, di emanciparsi da una società che monetizza ogni emozione, ogni differenza, ogni curiosità dentro il vissuto dell’esperienza umana, racchiude in se la speranza di spezzare le catene del degrado, della violenza, delle ingiustizie, dell’egolatria, dei fondamentalismi e di tutte le fobie di cui siamo prigionieri.