Il sito Liberoreporter.it, il solo che ad oggi non ha mai spento le luci della vicenda del sequestro delle due navi italiane, da parte dei pirati somali, la Savina Caylyn e la Rosalia D’amato e su cui si trovano tra cui 4 procidani (2 per ogni nave); a seguito dell’articolo pubblicato da LiberoReporter, il 23 giugno 2011 (Rosalia D’Amato. Primo contatto con la nave. Ma ancora troppi misteri) riporta un articolo a firma di Truman Siciliano con le rettifiche ricevute via fax dall’avvocato incaricato dalla Perseveranza Navigazione (Armatore della Rosalia D’Amato) non senza far notare che comunque alcune delle domande rimangono ancora senza risposta.
In merito all’articolo pubblicato ieri (23 giugno 2011) da LiberoReporter dal titolo: «Rosalia D’Amato. Primo contatto con la nave. Ma ancora troppi misteri», abbiamo ricevuto un fax di richiesta di rettifica, dall’avvocato che cura gli interessi della Perseveranza Navigazione, armatore della Rosalia D’Amato, motonave sequestrata nelle vicinanze del golfo di Aden dai pirati somali, il 21 aprile 2011. Non solo deontologia lo impone, ma prima ancora la correttezza tra le parti, pubblichiamo quanto abbiamo ricevuto via fax segnalando, però, che alcune delle domande da noi poste, rimangono ancora senza risposta.
(ARMATORE)
La nave seguiva la rotta stabilita da UKMTO (forze navali ONU che presidiano tutto l’Oceano Indiano), tant’è che circa 30 minuti dopo l’assalto dei pirati è sopraggiunta una nave militare turca che ha anche iniziato uno scontro a fuoco, interrotto dalle minacce dei pirati di uccidere l’equipaggio.
La nave si è registrata presso UKMTO + IMRCC (Comando Generale Capitanerie di Porto) l’11 aprile 2011, prima dell’ingresso nella High Risk Area (Area ad Alto Rischio); come da istruzioni inviava via telex la propria posizione ogni 8 ore, segnalando anche se avessero avvistato o meno altre navi in zona, sempre con esito negativo.
Prendiamo atto che l’armatore, mediante gli uomini del suo equipaggio, abbia condotto le giuste procedure da seguire, una volta iniziata la navigazione in Zona Rischio.
L’UKMTO, però, non decide a priori le rotte delle navi, ma constata il fatto che l’imbarcazione voglia passare in quella zona; solo in quel momento suggerisce la rotta da seguire per avere il minor rischio d’attacco, chiedendo all’imbarcazione di inviare un telex ogni 8 ore, segnalando la posizione ed eventuali navi avvistate.
Ma l’aver voluto passare nella zona a rischio è una scelta dell’armatore, che se avesse invece seguito la rotta che altre navi sullo stesso percorso dalle americhe verso l’Iran seguono, non avrebbero corso il rischio di subire un arrembaggio.
Non ci risulta comunque alcun conflitto a fuoco tra i pirati e la nave militare turca, in quanto, la stessa EUNAVFOR fa sapere tramite il suo sito, nel dare la notizia del sequestro, di aver ricevuto comunicazione prima dell’avvicinamento della nave turca, che i “pirati sono a bordo, non avvicinarsi”.
La nave turca si è limitata quindi a monitorare il viaggio dell’imbarcazione arrembata, fino probabilmente alla fonda, dove adesso si trova. Possiamo anche pensare che il controllo da parte dell’imbarcazione turca, sia durato fino all’arrivo di una nostra nave militare, che normalmente monitora l’imbarcazione sequestrata.
(ARMATORE)
La nave è carica di soy bean pellets (semi di soia) con basso contenuto di olio, che è la sostanza che potrebbe creare emissioni di gas infiammabili: non classificato come carico pericoloso.
Nessuna parte dell’articolo cita come carico pericoloso quello della Soia. Si dice un’altra cosa, che peraltro la risposta dell’armatore riporta: “potrebbe creare emissioni di gas infiammabili”. Si parlava infatti di autocombustione. Le probabilità che tale situazione si verifichi è bassissima, se tutte le procedure sono messe in atto per evitarlo, ma esiste comunque la possibilità che possa accadere.
Possiamo essere certi che il carico in Brasile sia stato stivato correttamente e che la stiva abbia tutti i requisiti idonei per il trasporto, rapporto ventilazione, umidità, temperatura corretta, chiusura ermetica della stessa per evitare l’accesso di ossigeno, unica fonte per alimentare o creare una combustione, ma non possiamo altrettanto esser certi che dopo l’arrembaggio i pirati non abbiamo voluto guardare ogni angolo dell’imbarcazione, cosa che regolarmente fanno in ogni sequestro, e aver mutato così le condizioni di stoccaggio, rendendo possibile, in questo modo, il rischio che si palesava precedentemente. E’ ovvio che nessuna accusa può essere mossa contro l’armatore per questo mutamento eventuale di condizione del carico, infatti si segnalava il rischio, quale motivo per far presto nelle procedure e trattative per la liberazione degli ostaggi, viste le alte temperature africane in questo periodo e i rischi connessi a tale condizione.
(ARMATORE)
I contatti con la nave ed i pirati ci sono ma la Società non rilascia dichiarazioni di nessun genere per non fare il gioco dei pirati che, anche a causa di articoli come il Vostro, raggiungono il loro scopo di attirare attenzione per aumentare le loro richieste.
Qui tocchiamo un tasto alquanto dolente. Che la società armatrice, ma anche il nostro Ministero degli Esteri non rilascino informazioni su quanto accade, ne siamo certi.
Che si tenti ancora una volta di chiudere la bocca al diritto di cronaca, questo proprio non ci garba; del resto l’armatore fa l’armatore, e noi che facciamo informazione, svolgiamo quel mestiere, non altro.
Addirittura sembra, dalle parole scritte nella missiva pervenutaci, che si paventi un’accusa di essere in combutta con i pirati per far aumentare le richieste di riscatto o quantomeno di fare il loro gioco. Mai che venga in testa a qualcuno di pensare agli ostaggi, ai risvolti psicologici e fisici derivanti da questa condizione. Per questi motivi ci si attiva, per cercare di riportarli a casa prima possibile. Il lato umano è l’unica cosa che ci preme.
Pensare che articoli come il nostro favoriscano l’aumentare delle richieste, è argomento a dir poco risibile, ma data la situazione drammatica degli ostaggi, preferiamo rimanere seri e far constatare all’armatore che non ci risulta, dopo la pubblicazione di articoli, che ci sia mai stato un innalzamento delle richieste.
L’aumento delle cifre richieste dagli anni precedenti ad oggi (in generale, non nello specifico), è dovuto al fatto che non si è in grado di contrastare efficacemente il problema alla radice e quindi i pirati, sentendosi forti, quando riescono nel loro intento, purtroppo troppo spesso, cercano di massimizzare l’introito illegale. Certamente non perché siamo noi a scrivere del fenomeno o della singola vicenda. Ma qui entriamo in una situazione di business che vede coinvolti parecchi attori e per il quale ci riserviamo altri ambiti per discuterne.
Da quando abbiamo seguito il caso del sequestro nei confronti di una imbarcazione italiana, il Buccaneer, abbiamo sempre ripetuto che era necessario tenere alta l’attenzione sulla vicenda, perché questa condizione favorisce rapide svolte (il Buccaneer è stato rilasciato appena prima del compimento del quarto mese di sequestro). Anche la stampa estera si comporta in questo modo per i casi di sequestri di altre imbarcazioni non battenti bandiera italiana (parliamo di paesi occidentali come il nostro). La nostra teoria trova infatti riscontro: questi sequestri non oltrepassano quasi mai i 40/60 giorni.
A riprova della bontà del lavoro che svolgiamo, citiamo un articolo del sito online http://www.tradewinds.no/ (Tortured by drunks) in cui alcuni sequestrati indiani, per ben 10 mesi ostaggi dei pirati, ringraziano la stampa indiana e pakistana; “ci hanno aiutato molto”.
Perché sono proprio loro le vittime di queste situazioni. Ed è per loro che si fa tutto questo, oltre che per ottemperare al dovere di cronaca.
Detto questo, qui non si tratta di fare una polemica, si tratta di cercare di capire cosa ha spinto l’armatore ad avventurarsi proprio in quella zona, mentre una nave “cugina” era già sequestrata.
Se l’imbarcazione non avesse avuto ulteriore scelta, oltre a quella compiuta, tutta questa discussione, almeno per questo motivo, non ci sarebbe neppure stata.
L’alternativa però c’era, ma non è stata considerata. Intanto ci sono 21 marinai che patiscono la detenzione a bordo della nave (altri 22 vivono la stessa sorte sulla Savina Caylyn) e pare che i tempi per il loro rilascio possano diventare biblici. Non è accettabile che per 3 o 4 giorni di navigazione in meno, si possa correre il rischio di farne passare in detenzione forzata 180/210 o chissà quanti altri Dio solo lo sa.
Truman Siciliano