” i cristiani vanno – dovrebbero andare – per il mondo offrendosi come cibo e bevanda per gli altri, soprattutto per la moltitudine dei poveri”……Oscar Campana teologo
lina
Quarantesimo appuntamento, con la rubrica dedicata ai commenti al vangelo. Eccovi il commento al vangelo di ( Gv 6,51-58) , di questa domenica 26 giugno 2011, dedicata al Corpus Domini , attraverso il video di p. Alberto Maggi con relativa trascrizione a scaricare e una riflessione di Oscar Campana teologo
[youtube SbxzIHVZTcE]Vita per il mondo, ieri e oggi
di Oscar A. Campana
È comune ricordare che il Quarto Vangelo è l’unico che non riporta il racconto eucaristico dell’ultima cena di Gesù con i discepoli e offre invece il “discorso del pane di vita” in occasione di un episodio narrato anche due volte dai vangeli sinottici: la moltiplicazione dei pani. Tale abituale riflessione riconduce tanto il racconto sinottico dell’ultima cena quanto il discorso di Giovanni all’ambito dell’istituzione sacramentale, ossia riconduce a una categoria estranea ai testi – “sacramento” – questi passaggi di difficile addomesticamento e comprensione. Così, nei Vangeli di Marco, Matteo e Luca (e nella prima Lettera di Paolo ai Corinzi) sarebbe registrata l’“istituzione” del sacramento della eucaristia da parte di Gesù, mentre in quello di Giovanni se ne approfondirebbe il significato.
Tuttavia, la problematicità delle parole di Gesù, nella cena come nel suo “discorso”, resta tutta, scandalizzando gli ascoltatori di ieri e di oggi. Di che parla Gesù? Di antropofagia? Di cannibalismo rituale? Di necrofagia? L’obiezione di quanti il Vangelo di Giovanni chiama “giudei” («Come può quest’uomo darci da mangiare la sua carne?») non è forse logica e valida? Non sarà quello di Gesù un delirio religioso? Gli stessi Vangeli non testimoniano che per i suoi familiari era pazzo (Mc 3,21)? L’invito a mangiarlo non lo dimostra?
Nella cena con i suoi discepoli che precede la sua morte, Giovanni riporta l’episodio della lavanda dei piedi (Gv 13,1-16). Nell’ultimo momento della sua vita, riappare quella che è una costante della vita di Gesù: il suo atteggiamento di servizio. Così appare in un passaggio dalle profonde implicazioni per i discepoli di ieri e di oggi: «Voi sapete che coloro che sono ritenuti capi delle nazioni le dominano, e i loro grandi esercitano su di esse il potere. Fra voi però non è così; ma chi vuol essere grande tra voi si farà vostro servitore, e chi vuol essere il primo tra voi sarà il servo di tutti. Il Figlio dell’uomo infatti non è venuto per essere servito, ma per servire e dare la propria vita in riscatto per molti» (Mc 10,41-45). Nella lavanda dei piedi, Gesù interpreta la sua vita come servizio verso coloro che ama «perché come ho fatto io, facciate anche voi» (Gv 13,15).
La storia dell’oppressione, del dominio e della violenza viene superata nel gesto del Nazareno. Perché egli è «il pane vivo disceso dal cielo» (Gv 6,51). Ciò che è disceso dal cielo non è il gesto minaccioso di un Dio che ci fulmina con i suoi strali, ma la vita in abbondanza per gli uomini (Gv 10,10). Come un giorno discese la manna, così oggi con Gesù ci viene data la vita.
Egli inaugura con i suoi un nuovo vincolo di mutua appartenenza, come quello che ha con il Padre. E questo nuovo vincolo, centrato sul servizio e sulla dedizione agli altri, è la nuova storia che ci viene data dall’alto, ma che è storia degli uomini solo se questi la fanno propria, replicando l’atteggiamento del Nazareno.
Gesù offre se stesso per la vita del mondo. Si fa cibo e bevanda per tutti. E mostra il cammino della salvezza, quel che fa sì che gli uomini siano cibo e bevanda per gli altri, servitori disposti a lavare i piedi dei compagni di viaggio.
C’è resurrezione solo se c’è stata vita. E c’è stata vita solo se questa è stata donata. Come ha fatto Gesù, che ci ha mostrato nella sua storia la storia dello stesso Dio. Dio è amore: Dio è dono.
Per questo il primo modello veterotestamentario a cui si richiamano i discepoli per comprendere Gesù è il misterioso “servo” dei canti di Isaia. E così Jon Sobrino indica che è la totalità della vita di Gesù, non uno dei suoi momenti, ad essere gradita a Dio. Ed è da qui che bisogna rileggere i canti del servo nella loro totalità – non solo l’ultimo – se vogliamo usarli come modelli teorici per comprendere la salvezza che porta Gesù: il servo che viene a introdurre la giustizia e il diritto (primi canti) finisce per essere il servo sofferente (ultimo canto); e, viceversa, il servo sofferente non è altro che colui che instaura la giustizia e il diritto. Di questa totalità del servo bisogna dire che è “luce” e “salvezza”.
Testimoni di questa luce e di questa salvezza, i cristiani vanno – dovrebbero andare – per il mondo offrendosi come cibo e bevanda per gli altri, soprattutto per la moltitudine dei poveri, mostrando che non c’è altro cammino che quello dell’amore fino alle estreme conseguenze.
*Teologo laico, direttore dell’edizione argentina della rivista “Vida Pastoral”, è titolare della cattedra di Cristologia dell’Istituto Superiore di Studi Teologici (Iset) del Centro di Studi salesiano di Buenos Aires