Cosa hanno in comune Procida, Capitale della Cultura 2022, ed il diritto del mare?

di Alfonso Mignone

PROCIDA – La risposta è scontata: l’isola, proprio grazie alla sua collocazione geografica,  è stata sempre fucina di mestieri legati all’economia del mare (pescatori, marinai, barcaioli, padroni di nave) e tale circostanza può considerarsi sufficiente a stabilire un rapporto tra le attività economiche e la loro regolamentazione.

L’isola ha dato i natali ad un illustre giurista esperto di diritto marittimo: Michele De Jorio (1738-1806).

Il Marchese De Jorio si distinse per la sua vasta erudizione in diritto commerciale e marittimo che lo portò, nel 1779, ad essere chiamato da Sua Maestà Ferdinando IV di Borbone, a redigere un codice ( che prese il nome di “Ferdinandeo”) che raccogliesse la legislazione marittima del Regno di Napoli e Sicilia, realizzando un vecchio sogno di Carlo III, il “riformatore” del diritto della navigazione napoletano.

Il De Jorio completò la sua opera nel 1781, pubblicò venticinque esemplari che furono distribuiti a Corte ma non riuscì, tuttavia, ad ottenerne la promulgazione, a causa degli sconvolgimenti politici dell’ultimo decennio del secolo dei lumi e, dopo la Restaurazione, la conferma dell’applicazIone del  Codice di commercio napoleonico nel Reame delle Due Sicilie.

Nonostante ciò, il Codice Ferdinandeo resta una delle più complete compilazioni di diritto marittimo della storia italiana, una vera e propria enciclopedia del settore.

A Procida è legata anche la nascita di un istituto anticipatore delle moderne assicurazioni marittime.

Infatti, risale al 1617, la nascita del Pio Monte dei Marinai che fu fondata dal Collegium Nautarum, composto da marinai, barcaioli e padroni di bastimenti dell’isola.

L’istituzione usava parte dei proventi della navigazione (la quarta parte)  per creare un fondo comune, usato per la costruzione di case, la cui rendita finanziava il pagamento delle doti per le figlie dei marinai procidani ed i riscatti per salvare coloro finiti prigionieri dei pirati, oltre che aiuti per i marinai poveri o infermi.

La creazione del Pio Monte era molto innovativa per l’epoca, anticipando di vari secoli le istituzioni di mutualistiche diffusesi nel XIX secolo.

Dallo Statuto derivano profili giuridici economici e sociali ai quali è opportuno rivolgere attenzione in quanto rappresentano una forma “ante litteram” del Welfare marittimo.

Il primo articolo dello statuto stabiliva che l’iscrizione era riservata esclusivamente a chi era marinaio o barcaiolo o padrone di nave.

Per gli iscritti e per le loro famiglie il Pio Monte dei Marinai di Procida prevedeva sostegno ed assistenza, secondo precisi e stabiliti criteri. Sostegni erano previsti per i marinai disabili o in età avanzata, per i quali il Pio Monte si faceva anche carico delle spese funerarie; sussidi erano previsti inoltre per le figlie nubili di marinai iscritti al Monte – se erano povere e di sani costumi – per le fanciulle che decidevano di farsi monache, per il riscatto di marinai prigionieri e per altri pochi casi particolari.

Fonte principale di finanziamento, prevista dall’antico statuto, erano le quote che gli iscritti erano tenuti a versare e precisamente la quarta parte dei loro guadagni, provenienti dal lavoro sul mare.

Da notare che lo Statuto – come norma per evitare indebite appropriazioni – prevedeva che il cassiere doveva essere scelto tra i più facoltosi tra gli amministratori.

Pertanto, Procida può, a pieno titolo, essere ricordata dagli studiosi del diritto marittimo e gli spunti che abbiamo avuto modo di illustrare potrebbero essere ispirazione di un incontro di studi per fare il punto sulla situazione di questa.

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