Dimenticare Procida, ricordare il progresso

Di Giorgio Di Dio

Dimenticare Procida, piccola, incontaminata isola che si protegge grazie alle sue stesse dimensioni.  Quattro chilometri quadrati, poco più di diecimila   cuori pulsanti. Viviamo in un luogo sicuro. Quello che succede nelle grandi città non succede a Procida, la ragazza stuprata a Caivano non potrà mai essere di Procida, il sangue della mamma che viene uccisa dal figlio non sarà mai sangue di Procida, la botta in testa al povero vecchio che sta ritirando la sua magra pensione al bancomat non sarà mai di Procida. Tutte le cose brutte che succedono nel mondo non succedono a Procida.

Dimenticare per prima la Chiaiolella, quando sul lungomare Cristoforo Colombo non c’erano ancora le luci e nelle sere d’estate passeggiavi e salutavi le persone senza sapere chi erano.

Quando c’era la prima idea di campeggio avuto da Franco Crescenzo. Un pezzo di terra con un piccolo bagno che aveva solo la tazza e la doccia esterna direttamente sul terreno, poche tende, qualche roulotte. Ma attraversavi la strada e ti trovavi sul mare.

Io ci passavo le mie estati.

A due passi la prima discoteca (la tana o l’altro mondo).

Le prime luci pubbliche le vedevi solo dopo il chioschetto di Martino e se ti sedevi sul muretto le canne ti arrivavano sulla schiena.

Dimenticare poi Terra Murata, questo borgo antico dove il tempo scorreva in una dimensione ovatta. Dimenticare l’atmosfera di cittadina medioevale, le case dai mille colori, i vicoli, la piazza, l’abbazia.  Le salite a piedi per andare a sentire la messa, la voce rombante del curato Don Luigi Fasanaro.

Non c’era il pullman per Terra Murata e le auto erano pochissime.

Una zona silenziosa distante anni luce dalle grandi città di cui non si sentiva neanche il battito del cuore.

A volte sentivi un leggero vento di maestrale che ti faceva respirare aria pura e ti apriva suggestivi scorci all’orizzonte. E spostandoti potevi allungare la vista e vedere Ischia, Capri, la penisola sorrentina.

Dimenticare poi la Corricella, che non è un luogo qualsiasi. Le sue case sono tracce di antichità, sono metafore in un mondo di fiabe.

È un villaggio piccolo cha palpitava all’ombra delle file di barche cha andavano e venivano dalla pesca, che si nascondeva dietro le sue case costruite una sull’altra frutto di un’architettura impossibile e alle scalinate che attraversavano in silenzio le case.

E dimenticare ancora la Marina, il porto grande.  I due moli, con il faro rosso e quello verde, i traghetti, gli sbuffi di fumo, il cuore pulsante dell’isola con poche auto, e   pochi rumori.

Con la sua unica linea di pullman che collegava il porto alla Chiaiolella, quando non esisteva ancora il cartello: “Non parlare al conducente” e, anzi, col conducente ti faceva delle belle chiacchierate. Tempi in cui mia madre e zia Gaetanina, che non avevano mai visto un’isola e non sapevano nemmeno il significato della parola “campeggio” decisero di venirmi a trovare. Non trovandomi al porto salirono sul pullman. Poi mia zia vedendomi proprio davanti a loro sulla mia vespa 50 ordinò perentoria all’autista: “inseguite quella vespa!”. E il serafico Eugenio, senza scomporsi, rispose: Signò, ma poi gli dobbiamo pure sparare?”

Dimenticare il carattere chiuso dei procidani che vivevamo sul mare e non volevano il turismo a tutti costi e il turista era solo il “forestiero”, i b&b erano poche case che si fittavano minimo per un mese e se non era fittato agosto luglio non te lo davano

Dimenticare Procida perché anche qui dovevi imparare e sopravvivere e quando il mare non ti bastava più dovevi inventare il turismo

Dimenticare Procida e ricordare il progresso

Ricordare Procida e offrirla ai forestieri che sono alla ricerca di emozioni. Offrire bellezza, cultura, gli alberghi che sono sorti come funghi, i b&b che hanno occupato ogni buco delle case, le attività ricettive e non, che hanno colmato ogni vuoto, ogni piccolo spazio.

E i turisti, non più forestieri, ma turisti, che nel sole e nell’oscurità sfilano a migliaia, ci osservano con un malizioso compiacimento, brillano, scompaiono, riappaiono, si impongono alle macchine, le rallentano, le bloccano, fanno manovre accerchianti in cerchi confusi che oramai ci sfuggono.

Dimenticare e ricordare.

Cercarla Procida, come una sconosciuta tra la folla, in una danza di attori stranieri, con le loro guida con un fazzoletto o un ombrello alzato, tra i vicoli tortuosi, sulle rampe di scale, cercarla e poi dimenticarla.

Certo di un’isola così te ne innamori in un istante. È uno spettacolo di giorno e magia pura di notte.

Ma devi accertarne la trasformazione, la storia che si evolve, devi accertarne il divenire.

E forse, se sei bravo, ma veramente bravo, puoi ricordare e non dimenticare.

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