Direttiva Bolkestein: quale futuro per i circoli diportisti di Ischia e Procida?

Di Giorgio Di Dio
C’è un segmento che si intreccia con la direttiva europea “Bolkestein” che ha trovato poco spazio in tutti i dibattiti che si sono accesi sulle concessioni marittime.
Parliamo dei numerosi circoli diportisti presenti in Italia, e, in particolare, a Ischia e a Procida, costituiti in associazioni senza fini di lucro (e tali lo sono per davvero)
“Siamo tutti preoccupati” dice il presidente di un’associazione diportisti di Procida “seguiamo oramai tutti i giorni la questione delle concessioni i balneari. Ma c’entriamo anche noi? Noi non facciamo commercio. È vero che abbiamo la stessa concessione che hanno i lidi balneari, ma il nostro fine è completamente diverso, non riguarda il commercio non riguarda i soldi.”
I circoli diportisti, in effetti, sono solo gruppi di persone, spesso pensionati, amanti del mare e della pesca che sentono la necessità di aggregarsi e di mettere in comune la loro passione per il mare. Così si costituiscono in Associazioni senza fini di lucro, alcune diventano Onlus. Mettono a disposizione degli associati solo il posto di ormeggio per la barca e svolgono un’attività sportiva, ricreativa, culturale. Tutta l’attività viene svolta con il lavoro volontario e gratuito dei soci e tutte le spese vengono realizzate con le quote associative e qualche sponsorizzazione. Spesso offrono a pensionati, persone anziane, un’attività di supporto e di assistenza sociale, anche oltre la semplice messa a disposizioni del posto barca. Hanno sale di ricreazione dove si può giocare a carte, a scacchi, guardare una partita di calcio. Insomma, niente che vedere con lo sfruttamento economico di una spiaggia o di un tratto di mare in concessione.
E non solo questo. Si prefiggono anche lo scopo di tutelare e valorizzare il patrimonio ambientale e marino.
Spesso, però, sono logisticamente collocati in posizioni appetibili. Posti in concessione in porti turistici dove magari ci potrebbe stare bene anche un esclusivo e riservato Yacht Club per gente facoltosa.
O anche senza arrivare a tanto potrebbero essere appetibili per uno sfruttamento economico.
Se messe a gara, queste concessioni potrebbero suscitare l’interesse anche di qualche multinazionale.
E se questo è giusto dal punto di vista della libera concorrenza, non lo sicuramente dal punto di vista sociale.
Sta di fatto, però, che anche quelle di queste piccole associazioni sono concessioni demaniali.
La direttiva dell’Unione Europea 2006/123/CE, una direttiva dell’Unione Europea relativa ai servizi nel mercato europeo comune, approvata ed emanata nel 2006, che viene comunemente definita “Bolkestein “dal nome del Commissario Europeo che l’ha curata e sostenuta, all’art. 12 dispone che: “«qualora il numero di autorizzazioni disponibili per una determinata attività sia limitato per via della scarsità delle risorse naturali o delle capacità tecniche utilizzabili, gli Stati membri applicano una procedura di selezione tra i candidati potenziali, che presenti garanzie di imparzialità e di trasparenza e preveda, in particolare, un’adeguata pubblicità dell’avvio della procedura e del suo svolgimento e completamento».
È vero che la direttiva è del 2006 e ora siamo nel 2023 e le vecchie concessioni stanno tutte ancora là. Nessuna è stata ancora messa a gara. Questo perché, lo stato italiano si è preso tutto il tempo che poteva. Ora però c’è una giurisprudenza italiana ed europea che non lascia scampo: le concessioni devono essere messe a gara e non possono più essere prorogare. (pronunce 17 e 18 del 2021 dell’adunanza plenaria del Consiglio di Stato. Corte di giustizia Ue, sentenza del 20 aprile 2023).
Le attuali concessioni non possono andare oltre il 31 dicembre 2023, poi dovranno essere messe a gara. La proroga di un anno alle concessioni balneari fino il 31 dicembre 2024, stabilita dal decreto Milleproroghe, potrebbe non trovare applicazioni per il netto contrasto con la sentenza del Consiglio di Stato del 2021, per i rilievi Presidente delle Repubblica e per quelli della Commissione Europea.
Tra i principi che il legislatore dovrà attenersi nelle gare è già prevista, per le imprese concessionarie già esistenti da tempo, un’adeguata considerazione degli investimenti, del valore aziendale dell’impresa, dei beni materiali e immateriali, della professionalità acquisita.
Per i circoli diportisti si può fare qualcosa di più?
La direttiva europea lascia gli stati membri una certa discrezionalità. Lo stato italiano dovrebbe poter definire nettamente i confini delle concessioni che devono essere messa a gara. È vero che lo stato deve garantire l’interesse pubblico, ma questo non può risolversi nel mettere tutto a competizione, lasciando ai grandi investitori lo spazio per distruggere anche piccole realtà che fanno del bene. È vero che le spiagge o gli specchi di mare non possono esser appannaggio sempre delle stesse persone, ma è anche vero che ci sono scelte che si riflettono sul buon uso dei beni demaniali, è vero che lo stato deve usare procedure a garanzia della concorrenza, ma è anche vero che non sempre la concorrenza garantisce anche la giustizia sociale.
E nella definizione dei confini delle concessioni da mettere a gara lo stato italiano non potrebbe escludere le associazioni che abbiano una caratterizzazione sociale, ovviamente stabilendo dei paletti ben precisi per evitare che questa scelta possa poi diventare uno strumento per eludere la “Bolkestein“?

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2 commenti

  1. Francesco Li Mandri

    La realtà non è proprio come descritta, molte delle associazioni italiane di pescatori e diportisti non permettono l’accesso a nuovi iscritti, si tratta per la maggior parte dei casi di associazione a numero chiuso, il posto barca viene reso da padre in figlio e salvo casi eccezionali non vi è possibilità di accesso anche se ci sono posti barca liberi.

  2. Bruno battagliA

    Un problrma che riguarda tutta l’italia costiera. Scrivo dall’isola sarda la maddalena dove anche il piu disgraziato possiede un natante.occorre che ci uniamo per ottenere tutela al nostro modello di vita.

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