Stanotte all’improvviso, quando nessuno se l’aspettava, si è congedato. Si è congedato da questa Terra, da questo mondo, che non riconosceva più suo. E’ uscito in sordina da questa vita, che per lui non era mai stata benevola e che, nonostante tutto, lui aveva sempre affrontata con serenità. Affrontata con quella rassegnazione atavica dell’uomo della terra, sempre consapevole che la terra ti concede da vivere se tu gli dedichi fatica e sudore. Per lui la vita è stata sempre una guerra, a tal punto che lui si sentiva un “ soldato”, un eterno soldato. Questo soldato rispondeva fino ad ieri al nome di Antonio Pelliccia, da tutti conosciuto come Foriforo.
Benché Foriforo fosse un grande lavoratore e avesse combattuto per una vita intera, una vita lunga 85 anni, protagonista di molteplici battaglie,battaglie di sopravvivenza soprattutto, alla fine lui nella lotta è risultato sempre uno sconfitto. Sconfitto nel lavoro, sconfitto nell’amore, sconfitto nell’esistenza. Ma mai sconfitto nella vita, pur non essendo un eroe. Lui amava la vita. Amava la vita perché era contento di vivere. Perché la vita per lui, non era soltanto la sua vita, la vita per lui era la mamma, la famiglia, il suo primo amore non corrisposto ,erano gli altri. Per lui la vita era la speranza di un mondo migliore. Un mondo dove trionfasse la giustizia, un mondo dove venisse apprezzato il proprio lavoro, un mondo dove fosse corrisposto il proprio amore sincero per una donna, un mondo dove la Chiesa ascoltasse il grido disperato di un proprio figlio, un mondo dove la società, gli altri, il cosiddetto prossimo lo comprendesse, lo considerasse un uomo e non un derelitto. Ma questo mondo esisteva soltanto nella mente ingenua di Foriforo. Il suo grande desiderio di amore, la sua grande sete di giustizia, la sua fede innocente , non sono mai stati capiti dagli altri a tal punto che Foriforo è stato considerato un “matto”.
Si, un ”matto”, costretto ad essere “matto”, non solo dalla società, dagli altri, dal cosiddetto prossimo, ma anche dalla Chiesa. I suoi dubbi esistenziali un giorno, visto che il prossimo non li capiva, volle confessarli al Papa. Sì al Papa, al papa in persona, a Pio XII. Cominciò con una lettera, e poi insistette con altre. Nessuna risposta.
– Due sono le cose – pensò il poverino – o il Papa, pur leggendo le mie lettere non mi prende in considerazione, oppure non le legge, perché le censurano prima. –
Ecco perché decise di andare a parlargli di persona. Si diede da fare per un anno intero, coltivò intensamente tutto quell’immenso giardino, di cui era fittavolo, quello che stava a monte della Tavola del Re, quello che oggi è l’ex discarica di Punta Solchiaro. Ricavò carciofi eccezionali, che andò a vendere direttamente al mercato di Napoli. Col ricavato, un bel gruzzoletto per quei tempi, prese il treno per Roma e di corsa verso il Sacro Palazzo, con la convinzione che il Papa gli concedesse udienza. Quante cose aveva da dirgli al Papa, cose che magari aveva confidato agli altri, e gli altri l’avevano preso per matto. Un po’ di depressione l’aveva, dovuta magari alla fatica, alla scarsa alimentazione, allo stress, insomma appariva un po’ toccato. Quando si presentò alle guardie svizzere, sostenendo candidamente di voler parlare col Papa, queste senza scomporsi chiamarono un’ambulanza e lo spedirono direttamente in manicomio dove rimase per venti anni.
Per una semplice depressione, che oggi si curerebbe con una pilloletta, voi ci pensate, a Foriforo la società gli rubò la gioventù e gli distrusse la vita intera.
Chissà, se allora ci fosse stato Bergoglio, Papa FRANCESCO? Avrebbe accolto sicuramente Foriforo, l’avrebbe ascoltato, avrebbe capito i suoi problemi. Anche se non gli avesse risolto niente, Papa Francesco non avrebbe considerato questo povero cristo, un “matto”.
Solo dopo tanti anni, grazie a Basaglia, Foriforo fu restituito alla famiglia. Ma in che condizioni.
Sembrava Cristo schiodato dalla Croce. Ad accoglierlo non c’era più la mamma. Restava la sorella e i nipoti, che lo accolsero e lo vollero bene. Nei primi anni da libero, riuscì a digerire tutto il male a cui una società indifferente lo aveva condannato, e non ebbe bisogno di ricorrere al perdono, perché il problema lui, anima buona, non se lo pose proprio. All’inizio si fidò soltanto dei cani, poi cominciò a farsi volere bene da tutti. E da allora non si sentì più solo. Lui continuò a lavorare la terra e perfettamente reintegrato, si rese utile alla famiglia. Accudì con amore fraterno e con una competenza degna di un missionario, la sorella inferma.
Ha continuato la sua opera di missionario fino a pochi mesi fa, accudendo l’anziano cognato, vedovo della sorella. Nella sua vita, come si vede, si è sempre reso disponibile senza mai smettere di fare il “soldato”.
Anche oggi si è comportato da “soldato”. Ha obbedito al richiamo di sorella Morte, senza opporsi, e si è congedato dalla vita con serenità. Una vita che lui amava, nonostante la sua fosse stata una vita di sofferenza, sofferenza esistenziale soprattutto. Ecco perché, oggi, al cospetto della Morte Foriforo è apparso rassegnato, sereno, ben sapendo che quel vuoto esistenziale nessuno fosse in grado di colmarglielo.
Ora soltanto Dio, gli può rendere giustizia, quel Dio, che certamente non l’avrà mai considerato un “matto”.
Pauliello
Volevo solo segnalare che , forse, neanche Papa Francesco lo avrebbe accolto perchè non avrebbe passato la diga di segretari ed , appunto, guardie svizzere… Si sa, santa romana chiesa, è sempre dalla parte degli “ultimi”.