Galli della Loggia insiste, ma la destra (quella vera) è altra cosa

di Nicola Silenti da Destra.it

E’ un centrodestra depresso e ai minimi termini quello che si interroga e si tormenta sul tema controverso della sua crisi di identità. Un dibattito acceso dalle considerazioni di Ernesto Galli della Loggia in un pungente editoriale pubblicato sul Corriere della Sera. Una riflessione incentrata su una forte critica a una destra italiana presentata ai lettori «senza identità, priva di una cultura conservatrice e di un punto di vista sulla realtà alternativo a quello progressista». Un’analisi in cui, nella fattispecie, l’autore ha l’ardire di affibbiare per intero il punto di vista progressista al segretario del Partito democratico nonché presidente del Consiglio in carica, come se davvero oggi si potesse fare di Matteo Renzi l’icona della sinistra italiana e non invece una più attendibile versione aggiornata del camaleontismo andreottiano.

Stando alla critica di Galli della Loggia, Matteo Renzi avrebbe «dimostrato l’inutilità della destra riguardo al suo cavallo di battaglia: l’economia», centrando quest’obiettivo grazie all’abbandono delle «tradizionali politiche che la sinistra seguiva in questo campo»: in realtà, più che al prototipo di una nuova sinistra, il progetto renziano di un partito della nazione all’insegna del “tutti dentro” rimanda con la memoria alle peggiori gesta gattopardesche della vecchia Democrazia cristiana, quando l’apice del dibattito politico del Paese si toccava in modo plastico nei giorni del congresso nazionale della fu Balena bianca, tra mercanteggiamenti di tessere e accordi nel classico standard da repubblica delle banane.

Una politica di tagli indiscriminati alla spesa pubblica, di misure nel segno del “meno tasse e più investimenti alle imprese” per giustificare il sempre più abnorme peso fiscale ai danni delle fasce più deboli della popolazione, di precarizzazione dei contratti di lavoro e il sempreverde refrain delle privatizzazioni, non può essere etichettata troppo semplicisticamente come una politica di sinistra, di centro o di destra: si tratta, infatti, del programma della Banca centrale europea, imposto dal governatore Mario Draghi agli sciagurati cittadini del Vecchio continente. E se qualcuno pensa davvero che in Italia si possa fare politica sulla spesa e sul fisco allora non ha capito nulla di cosa siano diventate le 19 nazioni che hanno aderito alla moneta unica europea: gli stessi identici palcoscenici di una recita affidata a interpreti diversi, ma sullo stesso, immodificabile copione.

Così, smontata l’intuizione di un pseudo riformismo renziano assunto in autonomia rispetto ai diktat dell’Europa, per le stesse identiche ragioni evapora anche l’ accusa di una destra sorpassata in flessibilità e liberismo dalla sinistra: l’amara verità è che oggi in economia non ci si può permettere più di essere di destra o di sinistra, ma è concessa solamente la dicotomia pro sistema o anti – sistema. Per i chiarimenti di sorta rivolgersi al Movimento Cinque Stelle in Italia o ai tanti movimenti anti – euro in piena ascesa nel continente europeo senza trascurare il recentissimo trionfo dell’Ukip, il partito indipendentista del Regno Unito capace di ottenere, anche se solo per il rotto della cuffia, la storica Brexit.

Il fatto è che una destra allineata ai voleri delle banche e delle lobbies d’affari e contro il popolo non serve a nessuno, men che meno a una platea sempre più folta di cittadini che ancora si riconoscono nei valori della destra, ma che oggi sono privi di qualsiasi punto di riferimento e non hanno più nessuno che ne tuteli le istanze. Superato dalla storia lo sguaiato anticomunismo berlusconiano per morte del comunismo e defunto una volta per tutte l’armamentario liberista in salsa anni ’80 causa crisi economica dilagante, non è certo la rabbia xenofoba o il clericalismo antiliberale, come sostiene Galli della Loggia, a funzionare da collante della destra: di certo non è rabbia xenofoba pretendere una seria politica sull’immigrazione e una diversa tutela dei propri confini nazionali, al netto di ogni qualunquismo perbenista.

Invece che dell’assenza di una cultura conservatrice, il vero peccato mortale della destra è stato al contrario il vilipendio della sua storia, lo spregio dell’insegnamento dei suoi padri, il rifiuto del proprio passato: una storia che rimane a dispetto delle convenienze ed è una storia grande come gli uomini che l’hanno scritta. Una destra nazionale, affidata con coraggio alle mani giovani delle nuove generazioni, nel nome di una storia, fatta di ideali, virtù e valori non negoziabili, attorno a cui intere generazioni di italiani sono cresciute e su cui hanno incardinato la propria esistenza: è questo che si merita l’Italia, ed è questo che va restituito all’Italia. Una destra che è l’esatto contrario di quella odierna «senza idee e senza visione» tratteggiata nelle parole di Galli della Loggia: una destra in grado di riappropriarsi della sua etica della cosa pubblica, della sua onestà, della sua fiera e combattiva difesa di ideali che sono marchi dell’anima come la Patria e la famiglia. Questa destra non muore e non morirà mai.

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