PROCIDA – Stiamo vivendo dentro un percorso storico in cui vige il caos, la confusione, accompagnati da un andamento disordinato, squilibrato, smisurato, dove si sperimenta, in una dimensione di stanchezza, di malinconia, di ansia, di paura, la percezione che, da un momento all’altro, tutti i pilastri, su cui si regge la convivenza umana, sociale, civile sono sul punto di crollare come la libertà, la solidarietà, la giustizia, l’etica delle responsabilità, la speranza, con il rischio di annientare nelle macerie il collante che regge le umane sorti: il principio di autorità, già in pessime condizioni di salute, per le forme di strumentalizzazioni e di decadenza verso cui è stato indirizzato, da un determinato potere, tanto da farlo diventare l’emblema del privilegio e della tirannia. Così per uscire dalla morta gara, acqua stagnante, è cosa opportuna riformulare, nuovamente, la domanda: donde nasce, veramente, l’autorità? La risposta la troviamo nelle riflessioni del nostro grande maestro di vita, Don Libero Lubrano: “la parola stessa ci dice che essa attinge il suo valore fondamentale dalla ragione come promozione universale dei valori e quindi con un aumentare (dal latino augere) sia pure gradualmente e non saltuariamente, ciò che appartiene all’uomo, in quanto tale e in ogni forma del suo sviluppo, per la sua unità psicofisica, per il suo inserimento nella comunità. Ma bisogna evitare il rischio di una autorità eccessivamente informativa in cui il professore sa, il genitore sa, l’educatore sa, il politico sa, il credente sa”. Queste parole ci illuminano sul fatto che il sapere, troppo spesso, costituisce una dimensione di potere magico lontano dall’essenza valoriale del concetto di autorità che deve emergere dalla umiltà del dialogo con se stesso, con i propri limiti dove si svela il furore eroico della tensione e della elevazione. Se non si vuole la contraffazione dell’autorità in autoritarismo è auspicabile intraprendere un nuovo itinerario pedagogico il cui ideale formativo diventi il servizio dell’uomo in quanto uomo, la disponibilità dell’amore paziente simile, come dice sempre Don Libero, al seminatore del grano che sa aspettare il tempo della rifioritura. L’autorità, in tal senso, non è scopo, fine a se stesso, cioè con l’intenzione di sapere tutto e di inculcare tutto, ma deve essere fine della formazione sul piano della persona e della comunità: certamente, nella realtà odierna, dal piccolo borgo in cui viviamo fino all’intera sfera planetaria, l’autorità intesa come autorevolezza armonica non ha più sede nelle istituzioni, nella politica, nella scuola, nei luoghi della salute, del lavoro, della cultura, delle periferie del mondo dei penultimi e degli ultimi tanto che siamo avvinti in un orrido disfacimento disumano. Forse il 15 marzo 2019 è un dies che apre il cuore alla speranza, grazie ai giovani e agli adolescenti di tutto il mondo guidati dalla sedicenne svedese Greta Thunberg, scesi nelle agorà stupende delle loro polis, in marcia per il clima, a difesa dalla distruzione della vita sulla Terra, drammatica evidenza resa visibile dalla contemporanea strage avvenuta in due moschee della Nuova Zelanda da parte dei suprematisti bianchi. Ecco che le nostre figlie, i nostri figli, le nostre nipoti, i nostri nipoti stanno formulando e costruendo un nuovo principio di autorità che può essere definita ecologica ed amorevole.
Postilla finale: la morte in battaglia del giovane fiorentino Lorenzo Orsetti a fianco dei curdi contro l’Isis dentro l’ultima difesa degli ultimi della Terra, stritolati nei territori tra i più disperati e tragici del mondo, collocati nell’antica Mesopotamia dove ad un popolo viene, da sempre, violentemente vietato il sacro diritto di cittadinanza, ci riporta al sublime antico dell’eroismo e del martirio e offre linfa e soffio alla visione del nostro Paese che oggi sembra ricurvo nei suoi rancori, odii, brutali egocentrismi. In tal senso, il suo straordinario testamento, breve, succinto e intenso con l’indicazione di dedicare la propria vita fino alle estreme conseguenze al prossimo per sconfiggere l’individualismo, l’egoismo e alimentare perennemente la fiaccola della speranza rivoluzionaria, attraverso lo spirito evangelico incastonato con l’azione utopistica del Che Guevara. Ecco perché, a memoria futura, diventi, in margine ad una pedagogia di servizio, un punto di riferimento nei luoghi della formazione e della riflessione collettiva, in modo da poter contribuire al sorgere di una rinnovata primavera di una umanità sapiente e solidale.
Concludiamo con lo straordinario e coraggioso esempio offerto dai ragazzini dello scuolabus di Crema che con la loro creativa autorevolezza hanno evitato una immane tragedia.
È tempo di ius soli, non di ipocrita ed abominevole demagogia di “premi di cittadinanza”.