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Lavoro marittimo: profitto prima di tutto o centralità dell’elemento umano?

navedi Nicola Silenti da Destra.it

Molto più che opinioni contrarie, pareri discordanti, idee contrapposte. Il dibattito in corso nel mondo marittimo italiano è la manifestazione plastica dello scontro tra visioni diverse sul futuro della nostra marineria. Due modi incompatibili di intendere e di interpretare il senso dell’economia e dunque il valore ultimo del lavoro, inteso nel suo significato più profondo eppure tangibile di sudore, di sangue e di carne: la carne dei lavoratori marittimi italiani, oggi lasciati in balia delle logiche spietate e perverse di una globalizzazione che ha ridotto il presente di migliaia di connazionali al più deleterio dei baratti, quello di chi è costretto a scendere a patti con la propria dignità di uomo in cambio di un contratto precario e di un salario indecente per sopravvivere.

Una disputa che vede schierate sui fronti opposti della barricata due anime dell’armatorìa italiana: da un lato quella che pone il profitto prima di tutto e dall’altro quella che pone al centro l’elemento umano e quindi la difesa del lavoro degli italiani. Una controversia riassunta in modo sbrigativo ma efficace dalla stampa italiana nello scontro in atto del comparto marittimo nazionale approdato in queste settimane in Senato tra i banchi della Commissione permanente sulle Politiche dell’Unione europea, alle prese con l’esame delle modifiche al Registro internazionale in materia di sgravi fiscali alle compagnie di navigazione.

Due le alternative sul tavolo: l’opzione caldeggiata da Emanuele Grimaldi, che reclama dallo Stato italiano sostegni e incentivi alle compagnie marittime a prescindere dalla nazionalità del personale impiegato a bordo e quella sostenuta da Vincenzo Onorato, irremovibile nel chiedere a gran voce che vengano premiate con gli incentivi fiscali soltanto le compagnie che imbarcano personale italiano e comunitario, in conformità a quanto prescritto dalla normativa europea.

Sarà l’esito di questo scontro a determinare il profilo del comparto marittimo italiano per i prossimi anni. Un avvenire che verrà ratificato dal voto finale del parlamento, sigillo conclusivo di una decisione talmente spinosa da essere all’origine della spaccatura tra Confitarma e Fedarlinea.

In tutti i casi, il favore incontrato in commissione sin dalle battute iniziali del dibattito dalla proposta di Onorato ha costretto Confitarma a venire allo scoperto chiedendo pubblicamente l’intervento del governo per fermare gli emendamenti al Registro internazionale in corso di approvazione. Emendamenti che, in linea con il pensiero di Vincenzo Onorato, sono stati presentati con l’obiettivo di estromettere dagli incentivi vigenti le navi che imbarcano personale non italiano o comunque non comunitario.

Una sortita, quella di Confitarma, che sinora ha centrato l’obiettivo di frenare l’iter dei provvedimenti ottenendo dalla maggioranza parlamentare l’impegno ad una riflessione più approfondita sulla materia. Stando alle ultime indiscrezioni, tra le ipotesi più accreditate nei corridoi di Palazzo Madama si segnala come sempre più probabile l’imporsi di una soluzione di compromesso tra le istanze di Confitarma e di Fedarlinea: secondo questa versione ufficiosa a beneficiare degli incentivi sarebbero soltanto le compagnie attive nel cabotaggio nazionale in caso di impiego esclusivo a bordo di personale italiano o comunitario. Si tratta ancora soltanto di indiscrezioni: per le risposte definitive non rimane altro che attendere le decisioni ufficiali.

Tuttavia, ferma restando la legittimità di tutte le posizioni e gli interessi in campo, appare quanto mai opportuno sentire dalla voce di Vincenzo Onorato le ragioni alla base del suo impegno pubblico. «Io sono un uomo del sud che vede nella sua terra sempre più disperazione per mancanza di occasioni di lavoro» afferma l’armatore napoletano. «Dalla mia ho la coerenza dei fatti, con 4 mila lavoratori italiani impiegati, mentre dalla parte opposta mi trovo a dover fare i conti con armatori che pretendono sia istituzionalizzato il principio del non pagare tasse e usare sulle navi manodopera del terzo mondo a stipendi da sfruttamento. Confitarma minaccia il governo con la fuga della bandiera italiana?» si interroga il patron di Moby «ma che bandiera italiana è questa dove una nave da crociera su oltre 600 persone di equipaggio ha solo tre, dico tre, italiani? In termini di occupazione di marittimi italiani, nella sostanza la bandiera italiana esiste ormai soltanto sulle mie navi e nel cabotaggio minore che, per un curioso paradosso, non gode di alcun privilegio».

Da qui l’annuncio di una sfida che non sembra per nulla prossima a una rapida conclusione. «Le modifiche richieste al Registro internazionale sono solo un primo passo» garantisce Onorato «per poi andare in Europa e chiedere una legge che sancisca una volta per tutte che nei traffici marittimi fra paesi comunitari devono essere imbarcati esclusivamente marittimi comunitari».

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