Di Michele Romano
La tragica pandemia del coronavirus ha posto al centro della nostra attenzione esistenziale il ruolo e la funzione della scienza. Al di la dei risultati che riesce a conquistare, l’aspetto rilevante che viene fuori è la sua sovversiva e inquieta dimensione. Nel “De Rerum Natura”, Lucrezio, tale inclinazione la esplica così: “l’animo cerca di spiegare, poiché l’insieme dello spazio è infinito fuori dalle mura dell’emisfero terrestre, che cosa vi sia oltre, fin dove la mente voglia esplorare, fin dove voli il libero slancio dell’anima”. Tali parole raffigurano una sublime rappresentazione dell’intelligenza umana che impatta in una realtà che la supera e prova il folle azzardo di affrontarla a viso aperto. Così la scienza entra in competizione con l’infinito attraverso la propria libertà di ricerca. Il pensiero scientifico non costituisce, esclusivamente, un percorso di indagine e di ricerca ma anche di eclatante rivolta verso la dicotomia fra “finito” e “infinito”. Non si abbandona al rifugio consolatorio della mitologia fatta di dei, eroi, giganti, al contrario, alza il capo, spesso tragicamente fiero, con immane sforzo per comprendere il Caos dell’Universo. Probabilmente il termine giusto l’ha coniato la mia piccola scienziata di casa, Miriam, paragonando l’iter scientifico all’Arteteca”, con il suo significato di perenne agitazione, con la presunzione di essere l’unica erede di Atlante con il mondo addosso. La scienza si ribella non per una pregiudiziale riottosità ma per etica della conoscenza, per decretare la verità, spesso scomoda, spiazzante, tanto da assumere l’aspetto di una forma particolare di eresia che sfida la percezione comune. Tra le sue competenze non è prevista quella di lenire le nostre angosce ma comprendere come si è giunti al presente. Per cui il suo avversario più insolente viene ad essere la menzogna. Non deve essere considerata solo un divenire disincantato di pura razionalità. Anzi, impegnata in un continuo e ardito cambiamento, è alimentata dall’inquietudine, dall’insoddisfazione, di non rassegnarsi allo stato delle cose. I grandi della scienza sono uomini e donne inquieti, assillati dal dubbio, tormentati, perché l’autocompiacimento costituisce la morte dello scienziato e della ricerca. Ecco che la scienza diventa la filosofia della libertà di conoscere davanti alla vastità indefinita dell’universo in una perenne sfida all’ignoto.
Postilla Finale
Altissimo onore all’esistenza della scienza che in un angolo marginale del cosmo sta lì a comprendere la finitudine umana e con tenacia lacerante si sente libera di sfidarla. Parimenti noi, semplici credenti nella speranza, inadeguati alle bollenti fatiche da Sisifo della ricerca scientifica, desiderosi della “quiete dopo la tempesta” ci abbandoniamo al sogno delle ali micaeliche.