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Luigi Lauro: Procida in mostra a Trento

luigi lauroLo “Spazio Pretto”, nel centro della città di Trento, ospiterà, dal 23 maggio prossimo, una selezione delle immagini di Luigi Lauro già esposte nella mostra personale sull’ex carcere di Procida tenuta nella chiesa di Santa Margherita nuova la scorsa estate. L’isola di Graziella approderà, quindi, tra i monti del trentino aprendo le pagine della sua storia nelle quali sono custoditi i ricordi legati all’ex penitenziario di Terra Murata.

“Le motivazioni che mi hanno spinto in questa avventura fotografica  – dice Luigi Lauro – risalgono al tempo della mia infanzia ed appartengono ad un passato nascosto nelle pieghe dei miei ricordi. La mente funziona come una perfetta macchina fotografica: inquadra, mette a fuoco, seleziona la scena, la congela per deporla poi definitivamente nel cassetto della memoria. Questo cassetto altro non è che la mostra permanente dei nostri ricordi. Queste immagini virtuali scattate quando ero adolescente fanno parte integrante di questa mostra anche se solo virtualmente presenti.

Quando i miei genitori, di origine ischitana trapiantati al Nord dove sono nato e vivo tuttora, si trasferivano nella loro isola per le vacanze estive, si prendeva il traghetto per Ischia al Molo Beverello di Napoli. Ecco, fu proprio nel Porto di Napoli che vidi per la prima volta i detenuti destinati al Penitenziario di Procida.

Li osservavo ammassati sulla banchina, vestiti con delle casacche a strisce verticali, alcuni muti con lo sguardo fisso sul basolato del molo, altri a cercare tra la folla curiosa qualche volto noto di amico o parente, tutti sempre pronti ad obbedire ai secchi comandi delle Guardie.

Li osservavo poi salire sulla passerella del traghetto in fila indiana, assicurati ad una catena con le mani incrociate serrate da robuste manette di ferro. Le dita a stento trattenevano sacchi o valigie di cartone. Una volta a bordo sparivano alla vista di tutti sistemati in chissà quale locale della nave per riapparire poi al primo scalo della nostra traversata verso Ischia.

Dalla nave il Penitenziario di Procida mi appariva cupo e impenetrabile. Vi entravo solo con la fantasia. La curiosità mi spingeva verso quel Castello/Penitenziario, vi entravo con la fantasia e, come un fantasma, vagavo tra le sue mura e nei suoi ambienti disegnati dalla mia immaginazione.

La struttura narrativa della rassegna – continua l’autore –  è stata ideata con un percorso che vuole rendere conto della vastità degli ambienti carcerari e delle sopravvivenze segniche che in essi si affollano ed è stata pensata come ad una regia dello sguardo: vi sono tre distinti capitoli, che si differenziano e si susseguono, con alcune emblematiche immagini di passaggio.

La rassegna si apre quindi con una serie di fotografie di “Contesto” che descrivono, in maniera documentaristica ed espressiva, l’ambito topologico del carcere. Il ritmo di alcune immagini di collegamento, ci porta al secondo percorso visivo: “Ambienti”. Luoghi rarefatti, ricoperti dalla coltre del tempo, ma nei quali si respira ancora, con profonda partecipazione emotiva, l’esperienza di vita di coloro che hanno abitato questi spazi. La terza area, quella chiamata “Segni del tempo”, rende evidente, sotto il profilo concettuale, il tema della memoria.

Un progetto fotografico – conclude Luigi Lauro – che è una sorta di archeologia della visione, capace di restituire alla luce le tracce umane di chi non c’è più e di far emergere alla nostra coscienza, attraverso la potenza del segno e dei molti simboli indagati dall’autore, quale sia la dimensione del tempo che, incessantemente e con il suo inarrestabile fluire, ci ricorda che in questo silenzio e in alcuni terribili luoghi, persone “vive”, hanno consumato la loro esistenza”.

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Un commento

  1. Si può immaginare motivo per cui, i luoghi destinati ai detenuti sull’isola o, sulla terra ferma, causano in ogni essere libero ansia e frustrazione .

    Si può immaginare la mortificazione di ogni malvivente, che nel dover circolare gioco-forza incatenato e, sotto gli occhi di tutti, cerca di nascondere la propria umiliante mortificazione; come quando in tribunale viene richiuso all’interno d’una gabbia esposta alla vista di estranei e parenti, addolorati ed impotenti a soccorrerlo .

    Si può quindi immaginare, nelle strutture carcerarie, una vita di limitazioni volta all’abbreviare, quanto possibile, il trascorrere dell’infinito tempo di detenzione .
    E la frustrante condizione affettiva e sessuale che si viene a creare in tanta e coatta coabitazione .

    Quando per le prime volte ho avuto modo di osservare da vicino queste coercitive misure di costrizione, ho acquisito la misura d’ogni nostra inefficienza nei cosi detti programmi di recupero, che per primi avrebbero ambito per il detenuto una rivalutata dignità .

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