di Giuseppe Ambrosino di Bruttopilo
Ci sono luoghi a Procida, che tu procidano, nemmeno conosci. Neanche tu che ora ci abiti, ma ci sei venuto da poco. Soltanto chi ci sia nato e cresciuto o sappia almeno l’importanza che questi posti hanno avuto nel passato, potrebbe apprezzarne l’intera suggestiva bellezza. Non per colpa tua certamente. Perché nel tempo questi posti hanno subito delle trasformazioni, hanno man mano perso il loro fascino e sono diventati banali ed insignificanti. Uno di questi, senza dubbio, è quel piccolo slargo che si trova a metà di via Solchiaro, prima di affrontare la salita per la Punta, proprio all’incrocio con via Simone Schiano.
Chissà quante volte ci sarai passato, e niente di eccezionale ti sarà parso di vedere. Macchine in sosta dappertutto, dislocate a destra e a sinistra in maniera selvaggia, e un continuo viavai di mezzi provenienti da ogni direzione, e in questo maledetto groviglio tu a stento sei riuscito a districarti. Altro che fascino! Avrai provato soltanto un senso di rabbia e il desiderio di uscirne al più presto. Eppure quel posto nel passato ha avuto la sua importanza e il suo fascino. Quasi un luogo dell’anima. Specie per te, che sei nato e cresciuto in quella zona, e in quello slargo hai consumato la maggior parte della tua vita.
Quanti ricordi suscita in te quel quadro, all’interno dell’edicola, al sommo del cancello che guarda verso il mare! Rappresentava la Madonna Assunta, ma per te era semplicemente la “Marunnedda”.
O provenivi dal “Punticiello”, o scendevi dalle “Peragne”, o spuntavi dalla “Chiajozza” (il nome locale di via Simone Schiano) non potevi fare a meno di rivolgere uno sguardo a quella sacra immagine, che dava il nome a tutto lo slargo (abbesci’a Marunnedda”).
“Abbescio” proprio per significare che si trovasse, nella parte più bassa di via Solchiaro, in quella specie di conca, denominata la “rena di Manzi”. Da sempre ha accompagnato i passi dei viandanti, che mai hanno mancato di rivolgerle un pensiero, una preghiera e qualche volta anche una bestemmia Secondo le circostanze della vita, non sempre “rose e ciuri”, dei contadini della zona, che portavano avanti la giornata tra stenti e sacrifici
La “Marunnedda” per tutto il tempo che è stata in quel tabernacolo, ha vegliato sulla vita di tutti. Ha ascoltato i primi vagiti del neonato, che veniva portato a battezzare nella chiesa di san Giuseppe. Ha condiviso l’innocenza di chi si recava alla prima Comunione. Ha partecipato alla gioia di chi si univa in matrimonio, nella vicina Cappella degli Agonizzanti. Ha accompagnato chi passava di lì per l’ultima volta, diretto all’estrema dimora.
Qualche volta, povera “Marunnedda” è stata anche bersaglio di pietre, da parte di qualcuno che magari tutte le sere la invocava nelle preghiere. Come quel carrettiere, che esasperato perché il suo asino, “sconocchiando”, aveva fatto ribaltare il carretto con tutte le “sporte” di patate, pensava che lapidando la “ Marunnedda”, questa l’ascoltasse più facilmente?.
E quanti amori sono nati sotto la “Marunnedda”! Quanti innamorati sono passati sotto la sua immagine! Chissà quante volte la “Marunnedda” avrà chiuso un occhio per qualche bacio furtivo rubato proprio sotto il cancello, o li avrà chiusi tutti e due per qualche amore clandestino consumato nell’oscurità dietro di esso. Povera “Marunnedda”!
Tu pure l’avrai supplicata, quando aspettando la tua dolce fanciulla e non sapendo da quale delle tre direzioni spuntasse, lo chiedevi a lei, alla “Marunnedda”. Poi quando la tua bella spuntava o dalle” Peragne”, perché aveva dormito dalla nonna, o dal “Punticiello” perché proveniente da casa, o dalla “Chiajozza, perché tornava dalla Chiesa, tu dimenticavi di ringraziare la “Marunnedda”.
La tua “Marunnedda” ormai l’avevi tra le braccia. Ed oggi ti ritornano in mente quelle calme sere di primavera, quando la luna occhieggiando da dietro il Vesuvio, si presentava all’improvviso come un rosso d’uovo cotto ad occhio di bue, l’ampia striscia d’argento, che tremolava sul mare piatto e tranquillo, ti infondeva una languida frenesia per tutto il corpo, che quasi sentivi scorrere più velocemente il sangue nelle vene. E ti abbandonavi allora al dolce abbraccio della tua “Marunnedda”, nel buio della campagna retrostante, tra il profumo del fieno fresco e l’odore salmastro del mare.
– E’ la primavera! – pensavi allora. Era la gioventù e l’amore – starai considerando oggi.
Anche stasera è primavera. C’è lo stesso chiaro di luna. C’è la solita striscia d’argento che si riflette sul mare. E’ leggermente più tremolante. Soffia una leggera brezza di “vento da terra”. Dalla baia del “Ponticiello” ti giunge all’orecchio un lieve brusio. E’ la voce del mare. Ti ricorda il tempo che passa. Ti fa rivivere vecchi ricordi. Quando però cerchi di rivivere le antiche sensazioni, ti rendi conto che per te è difficile. Alzi perciò lo sguardo alla “Marunnedda”. Confidi che lei, come sempre, ti possa aiutare. Ma, con somma tua delusione, constati che l’edicola è vuota. Ormai anche la “Marunnedda” non c’è più!