Procida. La filosofia tra crisi e speranza (4). L’autoinganno

di Michele Romano

In questo perenne navigare, ad un certo punto, ci si imbatte nella possibilità di mentire a se stesso entrando nel cerchio dell’autoinganno, della seduzione e della motivazione. Da sempre arriva la percezione di come è potente il canto delle sirene dell’autoinganno davanti al quale c’è la necessità di non abbassare mai la guardi. Infatti, la saggezza ci ammonisce che raggiungere il traguardo del “Conosci te stesso” non è impresa facile perché troppo spesso si rasenta l’impossibilità di osservarsi, di versi così come ci osservano e ci vedono gli altri. Per di più si crea una rete di protezione nei dintorni della coscienza per garantire che nessun elemento indesiderabile riesca a entrare tanto da dar origine alla negazione, alla compensazione, all’elisione e mistificazione della realtà. Tale atteggiamento strategico poggia la propria base sulla paura, sull’ansia, sull’avversione per come ci si sente se si ammette l’esistenza di cose brutte e sgradevoli. Così si sperimenta che le persone hanno preso la consuetudine di credere più facilmente alle verità piacevoli che a quelle spiacevoli. Infatti se ciò che viene riferito è di totale gradimento, non viene sollevata alcuna obiezione. Viceversa, si tende a rifiutare le storie, gli eventi che turbano, che obbligano a rimettere in discussione ciò che fino ad un attimo prima si era felice di considerare vero. Tali situazioni non possiedono alcuna efficacia sulla possibilità che un dato evento sia reale. In altri termini non si pianifica, consapevolmente, il credere a qualcosa di cui si sa la non veridicità; così capita di credere semplicemente a cose su cui era giusto fare prevalere il buon senso di dubitare se non fosse entrato in gioco il turbinio degli elementi emozionali che proietta verso la prospettiva di essere sedotti. E qui entrano in campo la retorica e l’eloquenza che con l’uso del linguaggio, della gestualità, dell’intonazione, dell’espressione delle emozioni influenzano l’immagine, le credenze e i desideri di chi ascolta. L’oratore trasmette uno stato d’animo che spinge a fidarsi di lui perché gli artifici retorici non si appellano alla ragione a alla pura e forte emotività con il rischio di annientare un solido buon senso. Per questo motivo una lunga tradizione filosofica invita a diffidare. Tale indicazione critica scaturisce dal fatto che, nel momento in cui il lume della ragione presenta i conti delle proprie debolezze, dei propri insuccessi, l’individuo si trova in una situazione molto penosa.

Per tutti noi, è cosa opportuna, cercare di conservare la proprio autostima, alquanto fragile, perché si tende a sopravvalutare la propria capacità a produrre le cose e parimenti si assiste al fatto che meno si è capaci e più sale la valutazione di sé. Così si rifiutano le obiezioni, ci si aggrappa a pensieri di compensazione, per quanto fragili, ci si distrae, si devia la propria attenzione, si confondono  i termini della questione, invocando dettagli irrilevanti. In questo modo si passa da una negazione ad un’altra fino a cacciare del tutto in un angolino sia il senso che il contenuto racchiusi dentro il concetto di responsabilità, per cui i comportamenti sia individuali che collettivi, entrando nella sfera della inconsapevolezza, tendono a sgretolare i principi e le fondamenta dell’etica tanto che, come sta accadendo nella realtà contemporanea, la deplorazione, la condanna, il biasimo diventano atti di lesa maestà per soggetti, autori di evidenti interventi criminosi. Casi eclatanti ed estremi, in queste vicende, sono quelli di chi, vedendo frantumarsi e vacillare il proprio potere, anche a causa della nefandezza dei propri comportamenti, attua la terribile ed infausta del “Muoia Sansone con tutti i Filistei”, con effetti atroci e devastanti per una moltitudine di innocenti. Si può dire che le responsabilità di questo genere sono proprio quelle che entrino in campo, quando ci si inganna colpevolmente, quando vi sono situazioni che si sanno ma che si vogliono rimuovere, dimenticare e che autorizzano a non pensare. In altri termini il fenomeno dell’autoinganno rappresenta un intreccio variegato e sempre misterioso in cui si stabilisce una linea di demarcazione tenue e permeabile tra il dover sapere una cosa, di conoscerla realmente e parimente porre il rifiuto di ammettere tutto ciò. Così l’immagine di se stessi, vista come una entità totalmente aperta del proprio interiore, senza angoli bui, ne esce offuscata. Prendere coscienza di tale aspetto, è un ottimo viatico per la propria esistenza.

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