Sono ore di angoscia tremenda. Domani (Oggi per chi legge) sono esattamente 6 mesi che la petroliera italiana Savina Caylyn, è stata abbordata e sequestrata dai pirati somali al largo dell’isola di Socotra, nelle acque del golfo di Aden. L’ultimo contatto con i nostri marinai a bordo, risale al lontanissimo 16 giugno scorso. I telefoni della nave cisterna italiana sono irraggiungibili, fax compreso. 52 giorni di totale silenzio che fanno il paio con i silenzi di Armatore (F.lli D’Amato) e il nostro ministero degli esteri, che sta mostrando tutta la propria incapacità nel gestire questa incresciosa situazione, nella quale sono coinvolti 5 marinai italiani e 17 indiani.
Allo scadere del sesto mese di prigionia, ci chiediamo se effettivamente l’equipaggio sia ancora vivo, questo silenzio è davvero anomalo, non tanto per la mancanza di comunicazione relativa alle trattative, ma per il fatto che persino ai parenti non sia più arrivata una telefonata da bordo. Le ipotesi su cosa possa essere accaduto possono essere molteplici, ma si tratta soltanto di ipotesi, visto il totale black out sulla vicenda. Neppure un misero comunicato è uscito dagli uffici della Farnesina su questa storia che coinvolge o per lo meno dovrebbe, l’intera marineria del nostro paese, e il compiacimento per la risoluzione del sequestro della “Anema e core” del quale si è vantato il Ministro Frattini, stride come il fastidioso “rumore” del gesso sulla lavagna. Su questo sequestro e sul caso gemello della nave Rosalia D’Amato, tra l’altro di proprietà dello stesso gruppo armatoriale, sembra non esserci una volontà effettiva di portare a felice conclusione l’operazione di liberazione dei marinai e delle imbarcazioni. 180 giorni di prigionia, in uno scenario caldissimo, con temperature pazzesche e scarsità di viveri e bevande, con l’incubo del carburante a bordo che si sarà ormai esaurito cosa che non permette più i normali servizi di bordo. 180 giorni con i mitra puntati addosso e con la drammatica certezza di essere stati abbandonati dal proprio paese. Qualcosa è certamente accaduto. Fino a metà di giugno, dalla stessa imbarcazione, partivano le richieste di appelli e le comunicazioni con i propri cari era assicurata quasi settimanalmente. Poi quando sembrava che si stesse per scrivere la parola fine e gli stessi uomini a bordo ci confortavano con piccoli “segnali” positivi, improvvisamente si sono interrotte tutte le comunicazioni. Sono esattamente 52 giorni che proviamo a chiamare i numeri dei telefoni satellitari che si trovano a bordo della Savina Caylyn, ma risultano spenti e quando sono raggiungibili non risponde nessuno. Cosa può essere accaduto? Voci dalla Somalia, parlano di un possibile pagamento del riscatto avvenuto ma in mani sbagliate. La cosa non è da escludere, una circostanza già accaduta in altri casi. E se questa fosse l’ipotesi corretta, dove sarebbero i nostri marinai e perchè chi li tiene a bordo, sempre che lo siano ancora a bordo, non fa sapere nulla e non avanza nuove richieste per il pagamento? Ci dica la Farnesina e lo dica alla comunità internazionale, che fine hanno fatto i marittimi della Savina Caylyn, visto che nei giorni successivi al primo ultimatum, quando i pirati portarono a terra 3 uomini italiani dell’equipaggio, si affrettavano dagli uffici del Ministero degli Esteri a comunicare che in base “AI LORO RILEVAMENTI SATELLITARI”, non c’era alcuna conferma dello sbarco di uomini dalla nave. Tale dichiarazione venne poi clamorosamente smentita dalla viva voce del Comandate Lubrano Lavadera e dal Direttore di Macchina Verrecchia, che invece confermarono lo sbarco dei tre nostri connazionali, Bon, Guardascione e Cesaro. Lo dica la Farnesina visto che garantisce il monitoraggio satellitare della nave e lo comunichi ufficialmente, se ancora c’è vita sull’imbarcazione oppure no. Il Ministro si assuma la responsabilità di quanto sta accadendo ai nostri marittimi e a quelli di un paese terzo, l’India, su territorio italiano chiamato Savina Caylyn. Non è ammissibile questo silenzio, questo atteggiamento omertoso, questa mancanza di sensibilità verso degli esseri umani a bordo e ai famigliari a casa che aspettano la liberazione dei loro cari. Ci dica la Farnesina, che differenza corre tra i marinai delle due navi in ostaggio e i sequestri di altri connazionali più famosi, avvenuti in altri luoghi, che hanno ricevuto l’attenzione mediatica del mondo intero e per il quale si è fatto di tutto per riportarli a casa, mentre per questi lavoratori del mare, esiste soltanto il silenzio. Non ce ne importa nulla della trattativa, almeno per il momento, e delle missioni “politiche” in terra d’Africa, anche i bambini sanno che l’unico scopo dei pirati è quello di incassare un riscatto, ma la Farnesina ha il dovere di comunicare alle famiglie e all’Italia, se i marittimi sequestrati sono ancora vivi.
Troppe cose strane si intrecciano in questi due sequestri. Silenzi infiniti e inquietanti, due navi dello stesso armatore, assicurazioni e investigatori “ingessati”, rotte discutibili, strani pirati che per la prima volta, nella storia recente della pirateria, non richiedono attenzione mediatica.
G.B.
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