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Procida: Riflessioni sul governo del territorio

Di Pasquale Carabellese

PROCIDA – Col permesso del direttore e sperando nella benevola attenzione di chi legge, provo a lanciare tre spunti sul governo del nostro territorio; in altre parole  sulla qualità della vita nella nostra isola così come viene influenzata dal potere politico.

Il primo spunto, trito e ritrito, riguarda il famigerato divieto di circolazione estivo.

Dovrebbe essere ormai chiara la necessità di un deciso cambiamento di rotta, che parta da una presa di coscienza più concreta della realtà, dei suoi problemi e del modo più  efficace di affrontarli e risolverli.

A chi guarda le cose senza occhialini magici il divieto appare sempre più un rito che un rimedio.

Un rito nel senso religioso del termine, che ripropone sistematicamente un mantra a panacea e a conferma della bontà della propria fede: un mantra sempre più assordante ma non per questo risolutorio.

Cambia la formulazione, cambiano le prediche, ma la sostanza resta: un provvedimento stanco in cui sono sempre più trasparenti le forzature (eufemismo benevolo) di legge, liberticida in modo medioevale sul piano sociale (riflettete sul “coma indotto” che incombe sul paese in quelle ore) e redistributivo sul piano economico, spostando ricchezze da una parte maggioritaria della popolazione ad una minoranza aggressiva.

L’attuale amministrazione poteva –in qualche modo doveva- fare qualcosa di diverso.  Ha preferito invece calarsi senza esitazione nelle consunte braghe di tela delle precedenti, con una cifra aggiuntiva di dogmatismo ecologico e di eccesso di potere, dato dalla  forbice tra il “dover amministrare” e il “voler comandare”.

Il rischio è che consegni tal quale alla futura amministrazione la stessa palla, sempre più avvelenata.

Avendo perso una occasione storica. Aspettiamo e vediamo?

Si ingigantisce nel frattempo, opposto ma in qualche modo collegato, un problema di governo del territorio in cui appare sempre più evidente l’impotenza (datemi una definizione migliore) dell’amministrazione e delle sue forze dell’ordine: le –cosidette-biciclette a pedalata assistita.

Chiarisco subito, appartengo a quelli che sin dall’epoca dei primi divieti (voluti –pensate un po’!- contro i motorini) individuavano nelle due ruote un “fatto buono” per la vivibilità dell’isola. Proprio per questo possibile apporto prezioso si pone in modo forte l’urgenza del rientro delle due ruote nella “normalità” statuita dal codice della strada. Proprio il contrario di quello che tutti possono verificare.

La deriva, iniziata in sordina sotto altre amministrazioni come “tolleranza” per qualche isolato comportamento contro legge, ha subito una evidente accelerazione sotto l’attuale.

Sarà stata qualche dichiarazione incautamente  aperturista, sarà stato per quel manifesto di “benevolenza” che, dichiarado di voler regolare, in realtà ha dato via libera ad ogni eccesso. Sarà che anche i vigili devono salvarsi il pane.Sarà stato perché in emergenza rispunta sempre il “si salvi chi può” (Leggi:  chi non ha i soldi resta a casa e chi ce l’ha  e vuole circolare  si procura le “bici” con allegato manuale di abuso). Del resto la spirale del divieto è tale che, se servono, sbarcheranno i carri armati.

Fatto è che la circolazione veicolare e pedonale è attualmente ostaggio della testa di ariete di un variegato mondo a due ruote che in buona parte non ha niente da spartire con il codice della strada.

Volendo accantonare la  temerarietà di chi pensa di poter esporre a un  traffico pensato  pericoloso pargoli e pargolini su aggeggi venduti per giardini e salotti, l’aspetto più grave è costitutito dalle bici-motorino.

Ciò che altrove è un comportamento illegale di pochi sistematicamente represso, qui è diventato marcio. Impotenza? Perversa benevolenza? Cedimento alla massa? Istigazione?

Preferisco riportare una notizia di cronaca. A Verona un novantenne su una bici del genere, vendutagli come regolare, è investito da uno scooter. Arrivano i vigili, accertano  la responsabilità dello scooter, ma…si accorgono che la ruota della bicicletta continua a girare da sola. Da qui il sospetto, la verifica, il processo, il patteggiamento per alcune migliaia di euro. Domanda stupida: se a Verona è così facile verificare, perché a Procida no?

Due sono le cose: o non si vuole o non si può.

Volendo scartare benevolmente la prima ipotesi per la somma di responsabilità che presuppone, resta a mio parere una soluzione tampone piccola piccola.

Mi rendo conto che è difficile proporla ad amministratori seguaci del controsenso, ma ci provo lo stesso.

Proposta: in attesa che i vigili vengano dotati dei mezzi tecnici adeguati alla bisogna (e i politici del coraggio necessario), per la loro potenziale pericolosità includere nel divieto di circolazione le bipa.

Tutte, a prescindere (come si fa con gli altri veicoli, inquinino o meno), sic et simpliciter, per l’altrui incolumità.

E, poiché esse sono chiamate in causa anche in base a un ragionamento falsamente ecologico (NIMBY), niente più del terzo spunto ci può aiutare a comprendere l’ipocrisia di certo ecologismo.

Legge 447/95 voluta dal Ministero della sanità: è l’esempio di un primato –purtroppo negativo- della nostra classe politica.

Esiste da oltre 20 anni, è ben nota alla classe politica, ma nessuno ha avuto il tempo di attuarla.

La legge obbliga i Comuni alla zonizzazione acustica o, per meglio dire, alla classificazione acustica del territorio come risultato della sua suddivisione in aree acustiche omogenee.

La zonizzazione acustica  prevista è un documento tecnico-politico di governo del territorio, in quanto ne disciplina l’uso e vincola le modalità di sviluppo delle attività. Il territorio è suddiviso in classi acustiche (particolarmente protette, residenziali, ecc.), a ciascuna delle quali corrispondono dei valori limite di rumore, diurno (dalle 6 alle 22) e notturno (22-6). A titolo di esempio i valori limite di legge per la prima classe sono di 45 decibel diurni e 35 notturni.  Il primo corrisponde al cinguettìo di un uccello a 15 metri di distanza, il secondo ad una conversazione a voce bassa.La zonizzazione implica chiaramente l’obbligo di farla rispettare per tutti (anche per i locali pubblici, per dirne una).

Non sono molti i Comuni in Italia che, fino ad oggi, non hanno ancora adottato un così importante strumento. La causa principale della resistenza di chi resiste è l’errata convinzione che l’approvazione della zonizzazione acustica imponga oneri aggiuntivi alle attività produttive (si pensi ai locali pubblici obbligati alla insonorizzazione e al contenimento drastico delle loro emissioni sonore) e anche alla stessa Amministrazione, la quale potrebbe essere  chiamata, in molti casi, ad avviare degli adeguati piani di contenimento del rumore.

Chi valuta solo questi  elementi  vede un bilancio in netto passivo e resiste.

Poiché mi sento “dall’altra parte”, mi permetto ricordare che a questi “oneri” vanno contrapposti  i molti benefici derivanti da una migliore qualità di vita della popolazione . Altro che ordinanze antirumore e paliativi del genere! O no?

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Un commento

  1. Mi farebbe molto piacere conoscere una sua proposta, anche se solo a grandi linee, alternativa alla limitazione oraia dei veicoli a motore attualmente in vigore e da lei criticata. E’ il solo piccolo difetto che trovo nelle sue interessanti argomentazioni. Grazie

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