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Il sorriso di Renzi e un paese che affonda. L’Italia

matteo renzidi Nicola Silenti

Un ennesimo smacco per l’ottimismo renziano. E, fatto ben più grave, per l’Italia. E’ questo il responso inesorabile che proviene dall’analisi del rapporto annuale 2015 sullo stato dell’Italia diramato dall’Istat. Un rapporto colmo di cifre e tabelle minuziose, che ha preso in esame i dati economici registrati nel Paese nell’anno 2014 e che permettono di stilare un primo rendiconto dettagliato degli effetti sul Belpaese della politica decisionista di Matteo Renzi. Effetti che, a dispetto dei proclami e dei discorsi roboanti, non sono invece pervenuti.
Nell’anno 2014 il prodotto interno lordo dell’Italia ha segnato una nuova flessione dello 0,4 per cento, a dispetto di un ciclo economico internazionale quanto mai favorevole di cui hanno goduto tutti i paesi avanzati, avvantaggiati soprattutto dal crollo del prezzo del petrolio e, nell’area Euro, dalla politica monetaria della Banca centrale . Una congiuntura che, nell’ambito della concorrenza globale, si è rivelata ancor più favorevole a causa del contemporaneo rallentamento delle economie dei paesi emergenti.
La condizione economica del Paese fotografata dall’Istat è invece caratterizzata da una moltitudine di dati in netta controtendenza rispetto a quelli segnati dalle economie dei paesi occidentali. Dati tutt’altro che esaltanti anche quando registrano il segno positivo, come nel caso eclatante della spesa per i consumi finali delle famiglie, tornata a crescere, ma di un modesto + 0,3 per cento, a fronte del crollo verticale registrato nei due anni precedenti. Un dato, quello dei consumi delle famiglie, favorito peraltro da quello relativo al potere di acquisto, che per la prima volta dal 2008 ha smesso di calare anche grazie alla concomitante discesa dell’inflazione.
A dispetto delle timide previsioni dell’Istat sull’avvento di una prossima ripresa dei consumi, la dura realtà dei fatti registra per il 2014 un ennesimo calo degli investimenti, sebbene il deprezzamento del cambio abbia favorito una lieve ripresa della domanda estera e un incremento nelle esportazioni di beni e servizi. Anche le importazioni mostrano lo stesso incremento poco apprezzabile: un incremento dovuto in questo caso, per contro, a una consistente ripresa degli acquisti di beni da parte delle imprese.
Nella media del 2014 il dato dell’inflazione è sceso sino al limite dello 0,2 per cento, in calo di oltre un punto percentuale rispetto al 2013, come conseguenza del diffondersi di una generale spinta al ribasso dei prezzi delle materie prime e dei beni importati. Un trend subito interrotto nell’anno in corso, quando i prezzi hanno ripreso a salire per effetto del rialzo del costo del greggio, del gas e degli alimentari non lavorati. Sulla scorta di questi dati si comprende come l’indicatore dell’impoverimento medio delle famiglie abbia finalmente registrato un lieve calo (tornando comunque ai livelli tutt’altro che rassicuranti del 2011), motivato in gran parte dallo stallo complessivo dei prezzi. Tuttavia, a fronte di un miglioramento seppur modesto della condizione delle famiglie formate da due o tre componenti, dalle coppie senza figli o con un figlio a carico e tra le famiglie con anziani (soli o in coppia), la situazione di malessere e di disagio economico continua a essere da allarme rosso tra i genitori soli e tra le famiglie con almeno tre minori a carico o con figli disoccupati. Di fatto, nel complesso i genitori italiani senza lavoro nel 2014 hanno raggiunto quota un milione e 182 mila. Un dato che non ha bisogno di commenti.
Nulla di sensazionale si registra anche sul fronte del lavoro. Dopo due anni di contrazione, nel 2014 l’occupazione si è sostanzialmente stabilizzata registrando appena 88 mila nuovi posti di lavoro, soprattutto tra le classi di età più anziane, gli stranieri residenti e le donne. Un dato che potrebbe sembrare di buon auspicio, se non fosse che il tasso generale di disoccupazione è arrivato a quota 12,7 per cento, mentre quello della disoccupazione giovanile ha raggiunto la quota intollerabile del 42,7 per cento (con picchi del 55,9 per cento nel Mezzogiorno).
Altro dato scoraggiante registrato dall’Italia nel 2014 è quello della produzione industriale, in flessione di mezzo punto percentuale, sebbene in misura meno rilevante rispetto ai disastrosi due anni precedenti. Ma è abbastanza per esultare?

da www.silentimare.info

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