Un giorno di ordinaria disoccupazione

Ho ricevuto questa bellissima, quanto dolorosa lettera di un’amica con la quale ho condiviso per tre anni un’esperienza di lavoro che oggi è solo un ricordo e che ci ha catapultati nel variegato universo dei disoccupati. Ecco la sua lettera aperta, che ci racconta della sofferenza vissuta al “Job Meeting” di Roma.

Una folla oceanica elegante, uomini e donne di un’intera generazione tra i 25 e i 40 anni davanti a un cancello chiuso. È il giorno del Job Meeting di Roma, organizzato da uno dei tanti motori di ricerca del lavoro. Si capisce subito dai volti tesi e stanchi che quello è solo uno dei molti tentativi, già sperimentati, per incontrare le fatidiche aziende che dovrebbero dispensare un lavoro; non un lavoro qualunque, ma il lavoro per cui la maggior parte delle persone quel giorno ha investito anni e anni in studio e formazione post-lauream, cercando di barcamenarsi tra una prestazione d’opera – più o meno intellettuale – un co.co.pro., un tempo determinato, un job on call and so on… (visto che gli inglesismi sono di moda). Ciò che mi colpisce è proprio quel cancello chiuso, simbolo o metafora dell’inaccessibilità per la nostra generazione di un contatto diretto con il mercato del lavoro: anche solo per arrivare ad avere il cosiddetto primo colloquio conoscitivo le barriere sono molteplici e non sono costituite neanche più da persone, ma dai filtri della new economy (e-mail; siti di e-recruitment; motori di ricerca; banche dati; form on line). Per orientarsi nella digitalizzazione della propria narrazione biografica e professionale e consentirne una sintetica rappresentazione, standardizzata peraltro dal famigerato cv europass – da tutti i selettori odiato ma da altrettanti stranamente richiesto – sarebbe necessario un corso di laurea, un manuale corredato da linee guida, esempi e casi di studio!

Tra le tante dimensioni che la giornata di ieri mi hanno restituito c’è quella della nuova emigrazione: una moltitudine di giovani del sud Italia con la loro rinnovata valigia – non più evidentemente di cartone – ma alla medesima ricerca, come i loro avi, dell’eldorado costituito ormai da un miserando contratto temporaneo. Il dolore e il senso di straniamento tra la realtà e il mercato avevano già pervaso la mia mente quando, dopo tre ore di fila sotto un cocente quantomai imprevisto sole autunnale, entro nell’Auditorium del Massimo, lì dove le aziende avrebbero dovuto favorire il cosiddetto incontro domanda/offerta. Peccato, c’era molta offerta ma poca domanda: il mercato del lavoro rappresentato negli stand era costituito da quelle rare e patinate realtà aziendali delle multinazionali; mentre il 90% del tessuto imprenditoriale italinao, ovvero le piccole e medie imprese, quelle dove ciascuno di noi ha lavorato o molto probabilmente si troverà a operare, non erano presenti. Naturalmente, come tutte le multinazionali di rispetto, queste avevano in mente profili “non profilati”, ovvero brillanti giovani neo-laureati ai quali proporre uno stage di 6/8 mesi – alcuni per la verità remunerati – al termine dei quali tuttavia non si sarebbe potuta pretendere l’assunzione, anche se – come ha dottamente ribadito una selettrice di una grande azienda italiana – lo stage fa curriculum… certo, forse al terzo o quarto qualche sospetto di scarsa spendibilità sul mercato mi viene… ma si sa: siamo poco flessibili e troppo impazienti!

Lo stupore ancora non doveva compiersi pienamente, se non nella ulteriore drammatica fila davanti a un banchetto di una nota azienda di telefonia: quasi inconsapevolmente, mi trovo schiacciata nel mezzo della coda, in attesa anche io – dalle voci che si rincorrevano – di un possibile colloquio diretto con ben due selettrici dell’azienda. Perché no? Ovviamente il mio profilo – tecnicamente definito seniority (che così suona bene, ma che realmente significa anni di precariato) – non poteva essere richiesto tantomeno per candidature nell’area Risorse Umane dell’azienda… ma tento. Con la caviglia gonfia, la lombare dolente a causa della borsa professionale piombata che ottimisticamente conteneva una quarantina di cv da consegnare, giungo di fronte alla selettrice quasi catapultata dalle persone dietro di me. Presento le mie “carte”, mi sorride e mi invita a pensare positivo: non è detto che l’azienda cerchi solo neolaureati, può anche capitare che si avvalga di professionisti; a tal fine, mi suggerisce strategicamente di inserire il cv nella loro anonima banca dati; quando le comunico che questo ovvio step è stato già asseverato, mi orienta nuovamente: stavolta, mi invita a consultare le posizioni aperte e a verificare se è presente quella attinente! In quello stesso istante, ho pensato perché non fossi meritatamente al suo posto: come selettrice non mi è mai venuto in mente di essere banale o di affidare la mia consulenza orientativa alla statistica secondo la quale “ogni tanto viene pubblicata una posizione aderente alla tua”, come se fossimo al superenalotto “ritenta e sarai più fortunato”!

Ma la misura non doveva colmarsi con l’atteso mancato colloquio: mi dirigo infatti con la borsa ancora piena di curricula allo stand prossimale, ove mi incanta la missione di un’azienda “società internazionale di arte e cultura”. Mi avvicino quindi sperando che l’umanesimo del selettore e la preparazione umanistica della sottoscritta fossero compatibili: che folle illusione, la cultura e l’arte, benché espressione alta dell’uomo, non possono che essere mercificati e quindi la società non può che cercare venditori porta a porta di libri… suona un po’ come il folletto, ma questi oggetti si ammantano di un’aura estetica e per questo lo stesso venditore è più accattivante e il suo mestiere meno frustrante!

Infine, accanto alla moltitudine dei tanti giovani incontro qualche persona più canuta: sono gli effetti drammatici della crisi, tangibilmente psicologica…: dirigenti, quadri e professionisti che umilmente insieme ai neo-laureati fanno la fila per la questua di un posto di lavoro, mentre sono in mobilità o in cassa integrazione, se non addirittura licenziati. A uno di loro, portamento distinto, valigia 24ore, tranch elegante, una hostess di fiera allocata nello stand di una delle più importanti società di consulenza mondiali, vestita tradizionalmente con il tailleur blé una sgarbata minigonna e un viso da bambina, risponde che per i dirigenti non c’è spazio, l’età è un limite. A questa inconsapevole ragazzina, avrei voluto spiegare che la competenza si costruisce con la maturità che gli anni e l’attraversamento faticoso della vita donano e che la maggiore strutturazione cognitiva di un soggetto maturo non costituisce un vincolo alla flessibilità e alla creatività – come le tanti multinazionali presenti implicitamente dichiaravano –, ma una ricchezza che si esprime nella possibilità di leggere il reale attraverso lenti pluriprospettiche, ovvero mediante quello spirito critico che la difficile ricerca di un equilibrio esistenziale, nello squilibrio tra la forza personale e la realtà di un’assenza di reale realizzazione, ti chiama a costruire.

Francesca Petrelli

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