Nel plumbeo e virulento caos in cui i sistemi di informazione e comunicazione hanno smarrito la loro funzione educativa, ci siamo imbattuti, nella deprimente programmazione televisiva, in uno sceneggiato che racconta la storia di un atipico professore di filosofia.
Dante, interpretato creativamente da Alessandro Gassman, ha aperto uno squarcio di luce, in tanto buio pesto, di un messaggio mediatico benefico che può iniettare dentro il luogo, per eccellenza, della formazione, la scuola, un impulso vitale.
Dante, coinvolto in una contraddittoria e travagliata esistenza, possiede un dono naturale, quello di concepire la scuola come epicentro del dialogo in un’interrelazione aperta ed attiva in cui ascoltare assume una funzione centrale. Così gli insegnanti dovrebbero essere capaci di tirare fuori il talento da chi viene considerato l’ultimo della classe perché tutti, nessuno escluso, hanno racchiuso nella loro profondità incredibili potenzialità di cui ogni essere umano è portatore che spesso, non si riesce a metterlo in luce tanto da restare sopito nel fondo dell’anima, annientato dal disagio, dalla sofferenza.
Assume, in tal senso, una stupefacente bellezza educativa la sua iniziativa, tra lo sconcerto dei colleghi, prigionieri nella gabbia della trasmissione di un sapere asettico e burocratico, di sviluppare un pensiero itinerante con gli allievi, attraversando lo schiamazzo della strada, per immettere il senso del filosofare alla propria vocazione peculiare di creare i contatti vivi dello sviluppo umano seguendo un meraviglioso disegno nel quale il rapporto esistenziale è vissuto nell’interiorità per elevarlo ad un respiro universale.
Il nostro professore tende a seguire i consigli dell’illuminato sociologo Bauman, il quale ritiene che apprendere attraverso l’accumulazione della conoscenza non ha più senso perché l’ambito studentesco trova su Internet più informazione sui filosofi esistiti che nelle lezioni ricevute per svariati anni nelle aule per cui i docenti devono adottare uno stile di insegnamento, smontando antiquati schemi, costruendo strumenti operativi per comprendere elementi essenziali per affrontare le concrete ed incalzanti problematiche che la contemporaneità ci presenta davanti senza sé e senza ma.
E qui si scopre che la filosofia non possiede un canone simile alla fisica, alla biologia, al metodo storico, ma è l’arte di mediare, di negoziare concetti con rigore e immaginazione. Significa far dialogare diverse culture per valutare il senso di insicurezza, quando ci poniamo domande sulla natura del Mondo.
Quando ci orientiamo verso obiettivi educativi sul tipo di come aiutare i figli a crescere, a prendere consapevolezza di stare invecchiando e rendere tale stagione della vita, colma di saggia fertilità, la mediazione filosofica diventa essenziale nel momento in cui le trasformazioni sociali, economiche, politiche, culturali sono particolarmente radicali ed imprevedibili, con un futuro che presenta sempre nuove sorprese.
Siamo pronti ad accettare con cuore e mente aperti le tante diversità al di là delle nostre Mura e viverle come una sfida e una ricchezza. Pertanto un radioso ed impegnativo futuro attende la filosofia nella costruzione della Rivoluzione della Speranza.