Procida. Graziella si rifà il guardaroba… partendo dal costume.

In mostra fino a giovedì  02 giugno presso la chiesa di San Leonardo a Procida sarà in esposizione una rilettura dell’abito procidano, costume tipico attribuito alla ragazza simbolo dell’isola, Graziella. Innovazione guardando al passato questo è stato il leit motiv che ha guidato il piano di lavoro, grazie alla creatività della famosa costumista Elisabetta Montaldo  figlia e nipote d’arte, che ha animato e coordinato il team composto da Maria Capezzuto, nota sarta che si è occupata del taglio e del cucito delle stoffe pregiate realizzate a San Leucio come vuole la tradizione; infatti la stoffa del cappottino in pura seta è stata realizzata a telaio con due differenti tonalità di verde (colore usato dalle donne adulte già sposate) color erba e alga (la terra e il mare un connubio basilare in onore a Procida). Per i decori Maddalena Costagliola di Polidoro e Carmela de Giglio due abili ricamatrici, hanno curato la realizzazione dei pregiati ricami rispettivamente sul corpetto e sul cappottino impreziosito dal tipico ricamo chiamato a “cocciole” (lumaca). Un ricamo di origine turca e magrebina, realizzato con un filato in oro pregiato; ma molto difficile da tessere per la sua durezza. Il costume isolano come la cultura e la tradizione ha risentito molto degli influssi dall’oriente, non solo per gli abili marinai procidani che si spingevano in lunghi ed estenuanti viaggi alla ricerca di nuove risorse e materie prime e materiali preziosi (sete, spezie, essenze) per l’isola; ma soprattutto per i frequenti attacchi pirateschi dei saraceni che hanno influenzato lo stile di vita e la cultura isolana. Cosa è cambiato nel costume? Fondamentalmente nulla, sono stati apportati alcuni piccoli accorgimenti; anzi l’abito di Graziella è stato rivisitato facendo un salto nel tempo, arrivando alle origini del vestito. Partendo dal crespo, che veniva usato per coprire per pudicizia i capelli le donne, di solito viene solo avvolto intorno al capo delle donne; in passato invece una parte fasciava la testa e poi i due lembi del fazzoletto si intrecciavano fino ad annodarsi sul capo. Il corpetto non è chiuso, ma è aperto e la camicia è coperta da un foulard su cui è appuntata una collana rigorosamente in corallo (Graziella, la ragazza simbolo dell’isola celebrata nel libro dal titolo omonimo di Alphonse de Lamartine era un’abile corallaia). In ultimo le due estremità del cappottino sono legate sul didietro da un nastro. L’abito ha visto la luce dopo mesi di duro lavoro partendo dalla ricerca e dallo studio del costume grazie a vari testi e soprattutto alle stampe antiche che ritraggono le donne procidane. Un progetto importante e ambizioso nato dalla passione di Elisabetta Montaldo che in collaborazione con la prof. Tilde Sarnico scrissero nel 2009 un libro “L’oro del mare”, sull’abito procidano, andando a ricercare le profonde origini e gli influssi dalla cultura orientale. Ad arricchire l’apertura della mostra, oltre a un documentario sulla realizzazione del costume girato dal talentuoso regista procidano Renato Muro, è stato l’intervento di Peppe Barra, che ha voluto ricordare l’importanza delle tradizioni e del dialetto, perché questi due elementi tracciano la storia di ogni luogo e vanno divulgati, protetti e amati. Un’attenta osservazione e denuncia contro il crescente disinteresse verso la cultura conclusosi con un monito “Non è vero che con la cultura non si mangia, si mangia e anche bene”.

La mostra itinerante dopo Procida toccherà, tra le varie tappe, anche il museo del corallo di Sorrento e il museo del costume di Roma. Il prossimo progetto in cantiere,anzi in atelier, è realizzare un abito con il cappottino rosso (colore tipico delle ragazze che lo indossavano sino al giorno delle nozze).

Un altro progetto ambizioso che come il primo richiederà numerosi sforzi soprattutto economici, dato l’elevato costo delle stoffe per la pregiata lavorazione e dei filati in oro per i ricami.

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